OLTRE LE NUVOLE: DODICI GIORNI SUL TETTO DEL MONDO • ABOVE THE CLOUDS: TWELVE DAYS ON TOP OF THE WORLD


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PREMESSA


La più importante festività induista del Nepal è il Dashain. Si celebra nel mese lunare nepalese di Ashwin (nella prima metà di ottobre), dura quindici giorni e celebra la vittoria della dea Durga sulle forze del male. Le scuole rimangono chiuse, Kathmandu si svuota e tantissima gente fa ritorno ai propri villaggi, dove si organizzano grandi feste, sacrifici agli dei, si balla e si canta.

Decido di approfittare di questo periodo di vacanza per lanciarmi all'avventura e alla scoperta di alcuni dei territori più affascinanti del Nepal.
Oltre ottanta milioni di anni fa, nel Cretaceo Superiore, l'India non era nella stessa posizione attuale, ma era congiunta a quella che è l'odierna Africa sudorientale. La placca continentale indiana iniziò poi un lento spostamento e percorse più di 6.000 km, arrivando a ricongiungersi con l'Asia e l'impatto tra le due zolle tettoniche diede origine all'Himalaya, la catena montuosa più alta al mondo. Oggi, più di cento vette superano i 7.000 m sul livello del mare, mentre diciassette superano gli 8.000 m e nove di queste si trovano in territorio nepalese.


GIORNO 1
Giovedì 18/10/2012

La mia avventura inizia alla prime luci dell'alba. Intorno alle 6 ho appuntamento con Ram, il ragazzo che mi farà da guida.
Un autista ci aspetta per portarci al punto di partenza; durante la notte ho dormito circa tre ore, saliamo in macchina e mi addormento.

Arrivati a Sundarijal (1.460 m), esattamente a nord di Kathmandu, leghiamo gli scarponi e ci incamminiamo lungo il sentiero.
Attraversiamo la Shivapuri Watershed & Wildlife Reserve, una delle principali riserve d'acqua della città e raggiungiamo Mul Kharka, a 1.859 m. Sono le 10.30 e con mia grande sorpresa scopro che è già ora di pranzo. Mi concedo un piatto di riso fritto con le uova, seguito da una tazza di tè nero. Dopo neanche due ore di cammino ho già le spalle doloranti a causa dello zaino.

Riprendiamo la salita e nel frattempo cerco di fare conoscenza con la mia guida.
Ram ha 22 anni, è sposato da due con una sua coetanea e ha un figlio di un mese, Prajal. Appartiene alla casta Rai, mentre sua moglie è di una casta differente, quindi il loro è un matrimonio misto.
Il suo inglese non è dei migliori, ma in qualche modo riusciamo a capirci. Ha un fratello e una sorella che vivono in Nepal e mi racconta che un'altra sorella è stata trascinata in India quand'era piccola, per essere poi trovata da un poliziotto; ora sono sposati e vivono lì. Scopro, infine, che un altro fratello è stato ucciso nove anni fa durante la guerra civile tra maoisti e seguaci del re. Storie di ordinaria follia.

Mentre chiacchieriamo attraversiamo paesaggi bellissimi. Intorno a noi c'è tanto verde e vengo inondato da mille profumi. I fianchi delle colline sono dedicati alle coltivazioni a terrazza e vengo subito colpito dall'umanità che incontro lungo il sentiero, pieno di bambini piccoli in ogni villaggio. Per fortuna ci sono pochi occidentali in giro e mi convinco di aver fatto bene a scegliere un percorso meno battuto dal turismo di montagna rispetto alle classiche tratte del Campo Base dell'Everest e del Circuito dell'Annapurna.

Lungo il sentiero incontriamo decine di portatori. Molti di loro sono vestiti con abiti leggeri e ciabatte e trasportano sacchi e zaini appoggiati sulla schiena e sostenuti con una corda fatta passare sulla fronte. I loro carichi sono incredibilmente ingombranti e pesanti. Talvolta viaggiano in piccoli gruppi per trasportare provviste e materiali da un villaggio a un altro; altre volte, invece, prendono parte alle spedizioni di turisti e si sobbarcano gli zaini dei trekker che non riescono a portare la propria roba da soli. Se da una parte è vero che questo è il loro lavoro e che se lo tramandano da generazioni, dall'altra è impressionante vederli salire e scendere si questi tracciati, spesso con indumenti inadatti alle quote, alle temperature e al tipo di terreno.

Proseguiamo superando miliardi di scalini, nello zaino mi sembra di avere mattoni, fino a quando arriviamo al passo di Bolang Bhanjang (2.420 m); qui iniziamo la discesa per Chisopani (letteralmente "acqua fredda"), dove trascorreremo la notte a quota 2.215 m.
Quando raggiungiamo il villaggio sono trascorse quattro ore e venti dall'inizio della camminata. Più che un vero e proprio villaggio, tuttavia, scorgo solo quattro lodge sulle colline. La mia stanza è incredibilmente confortevole (oltre che dannatamente cara) e ho persino il bagno privato in camera con gabinetto, doccia e acqua calda.
È una sensazione stranissima, per la prima volta dopo più di tre mesi sono solo e non sono più abituato. La mente vaga liberamente e tanti pensieri scorrono nella mia testa.

Fa freddino. Finisco la cena e mi rintano a leggere in camera raggomitolato nel sacco a pelo. Inizio la lettura de "L'Alchimista" di Paulo Coelho, regalo di un'amica appassionata come me di camminate in montagna. Arrivo alla seconda pagina della prefazione e mi imbatto nelle seguenti parole: "Nel 1981 conobbi RAM e il suo maestro, che mi avrebbe ricondotto sul cammino tracciato per me". Ram, la mia guida! "Sul cammino tracciato per me"… Forse è solo una coincidenza, ma sento di essere sulla strada giusta, è una sensazione bellissima. Come direbbe Coelho, "Quando desideri una cosa, tutto l'Universo trama affinché tu possa realizzarla".

Sono stanco e mi si chiudono gli occhi. Fisso la sveglia per il mattino seguente, spengo la luce e mi metto a dormire. Sono le 21.39, credo non capitasse dai tempi delle elementari.


GIORNO 2
Venerdì 19/10/2012

Faccio colazione con uova, pancake al cioccolato e un tè caldo e alle 8.20 ci mettiamo in cammino completamente avvolti dalla nebbia.
Poco a poco il cielo si schiarisce e proseguiamo su un bel saliscendi. Ovunque, intorno a noi, scorgiamo coltivazioni a terrazza e nella maggior parte dei casi si tratta di miglio. Il fortissimo rumore delle cicale accompagna i nostri passi e superiamo alcune piccole frane.
Iniziamo una staffetta con due ragazzi che vivono nel Regno Unito (lui inglese, lei tedesca): durante il percorso ci incrociamo alcune volte, scambiando qualche parola e qualche sorriso, ma senza soffermarci troppo a lungo a parlare.

Raggiungiamo un piccolo lodge e Ram mi fa cenno di fermarci per pranzo; seduto al tavolo, vedo un'altro occidentale, un tizio olandese che indossa una maglietta di Stanford. Sono parecchio affamato e mi concedo una thukpa con uova e spaghetti.

La sosta è breve e riprendiamo presto il cammino. Incrociamo numerosi villaggi a varie quote e mi tornano in mente Dolcedo e le passeggiate di due estati fa nelle colline dell'imperiese. Entrare nei villaggi fa riaffiorare i ricordi e per certi versi suscita sensazioni simili, seppur con le dovute proporzioni: spesso, infatti, ci troviamo a percorrere un'unica stradina centrale con le case affacciate su entrambi i lati e incontriamo le persone del posto intente a fare lavoretti e a prendersi cura degli animali.

Rimango colpito dalla quantità di bimbi che incontriamo in ogni villaggio. Spesso li troviamo intenti a controllarsi la testa a vicenda insieme ai genitori in cerca di pidocchi e bestioline varie, in quella che sembra essere una vera e propria attività di coesione familiare.

La tabella di marcia prevede di dormire a Golphu Bhanjyang, ma quando arriviamo al Thodong Lama Lodge mi innamoro immediatamente del posto e decido di fermarmi. Varchiamo l'entrata e ci accoglie uno svizzero, Roman, parlando nepalese. Il posto si rivela essere anche moooolto più economico della notte precedente (200 rupie = 2 euro per una camera), seppur decisamente più spartano. Tutto il complesso è decorato in stile tibetano e ospita anche l'unico monastero della valle.

A inizio giornata infilare lo zaino è sempre il momento più difficile e al termine della camminata giornaliera mi sembra sempre di scaricare un macigno. Tuttavia, non mi lamento e mi tornano ancora una volta in mente alcune parole di Coelho: "Per tutta la giornata avrebbe dovuto portarsi dietro la giacca. Eppure, ogni qualvolta pensava di lamentarsi per quel peso, si rammentava che proprio quello gli aveva impedito di sentire freddo al mattino".

Mi concedo qualche minuto di riposo al sole, poi ordino dell'acqua bollente e mi regalo una doccia calda a secchiate.

Decido insieme a Ram di fare una passeggiata fino a Golphu Bhanjyang, a quindici minuti di distanza. Si tratta di un tipico villaggio Tamang (no, torinesi, Tamang, non tamango…). Molto rurale, abitazioni rustiche, e una bella scuola illuminata dal sole su una piccola collina.
Sulla strada del ritorno incrociamo una donna che trasporta un pesante carico di latte. Mi offro più volte di aiutarla, chiedendo a Ram di aiutarmi nella traduzione, ma la donna è troppo timida o orgogliosa e non accetta assolutamente di farsi aiutare.

In attesa della mia cena a base di egg fried rice e pane tibetano, mi intrattengo a parlare con Roman, che mi racconta in breve la sua storia. Diversi anni prima era venuto qui in trekking e si era innamorato della figlia del gestore. Dopo essere ritornato in patria è riuscito a mantenere i contatti con la ragazza, fino a prendere la decisione di mollare tutto e trasferirsi in Nepal. Da tre anni è sposato con lei e hanno una figlia; vivono insieme ai genitori di lei e lui aiuta i suoceri nepalesi con qualche innovazione (nel lodge c'è persino la connessione internet e in tanti piccoli dettagli si vede la mano di un europeo). Mi spiega che non non è sempre facile (ci credo!), che i soldi sono pochi, ma che è felice della sua vita attuale.
Sono contento di essermi fermato qui. Roman è una bellissima persona (sia come aspetto che come modi mi ricorda Aldo, un mio ex coinquilino cubano), il posto è incredibilmente accogliente, la vista è piacevole e il cibo delizioso.

Io e Ram condividiamo la stanza. Mentre lui si corica alle 19.15, io mi fermo a scrivere nella stanza comune, illuminando il foglio con la mia torcia da testa. Rientro in camera alle 21.08. Chiudo gli occhi e mi addormento.


GIORNO 3
Sabato 20/10/2012

Approfitto della gestione svizzero-nepalese per concedermi una colazione abbondante a base di pancake alla Nutella, omelette e tè allo zenzero.
Ram vorrebbe partire in fretta, ma scelgo di prendermi qualche minuto per scattare alcune foto. Il sole spunta all'orizzonte e si crea una breccia nella foschia. Mi godo al meglio luce e calore, faccio qualche piccolo esercizio fisico e sono pronto a rimettermi in marcia.

Infiliamo gli zaini e ci avviamo, ma dopo qualche minuto decidiamo di ritornare indietro per fare una foto di gruppo con tutta la famiglia.

Sono le 8.50 quando ripartiamo cantando, carichi di energie ed entusiasmo. Superiamo Golphu Bhanjyang e inizia la salita.

Addentrandoci in un un bosco di pini e rododendri veniamo travolti da deliziosi profumi. Superiamo un paio di crucchi che avevano dormito nel nostro stesso lodge e arriviamo a Kutumsang, all'ingresso del Parco Nazionale del Langtang. Mentre Ram sbriga le questione burocratiche per i permessi, mi dilungo a leggere un cartello informativo sul parco. Come ogni cartello in queste valli, è realizzato a mano con colori e pennelli e in un angolo si nota la firma dell'autore. Tra le molte informazioni fornite, una in particolare cattura la mia attenzione: la possibilità di avvistare nel parco il raro panda rosso e il magnifico leopardo delle nevi. Spero di riuscire a imbattermi in questi stupendi animali nel corso dei prossimi giorni.

Facciamo il giro intorno a un piccolo stupa buddista, rigorosamente in senso orario, per assicurarci una buona sorte, e riprendiamo il cammino superando altri due crucchi.

Ci fermiamo per il pranzo a Sanugopte (2.975 m) dove divoro un ottimo dal bhat. Noto un cartello che recita in inglese "vera pizza cotta al forno", ma non mi azzardo a ordinarla. Scatto una foto con la cuoca responsabile del mio succulento pranzo, in memoria della prima donna ad essere riuscita a farmi mangiare spinaci in ventisette anni. Faccio rifornimento di acqua, metto una pastiglia depuratrice nella borraccia e si riparte.

Di fronte a noi si apre una spianata incastonata in un panorama incantato e per un attimo mi convinco di non essere in trekking, ma nella Compagnia dell'Anello.

Raggiungiamo Mangengoth, abbiamo finalmente superato i 3.000 m (!) e per festeggiare il piccolo traguardo Ram ed io condividiamo biscotti e cioccolata.

Poco dopo la ripartenza, superiamo una comitiva di francesi e incontriamo di nuovo i due inglesi. Questa volta evitiamo la staffetta e decidiamo di procedere insieme. Paul, ingegnere, e Daniela, landscape designer, hanno terminato da poco un bellissimo trekking nel Ladakh e sono in viaggio da alcuni mesi. Chiacchieriamo a lungo e facciamo amicizia.

Al termine di un lungo peregrinare, arriviamo a Tharepati (3.690 m), sette ore dopo esserci messi in cammino questa mattina! Poso lo zaino in camera e mi concedo una (costosa) doccia calda a secchiate.
Siamo sopra le nuvole e spuntano bellissime cime innevate, quindi decido di fare qualche foto, ma in pochi minuti mi sento congelare e rientro per ripararmi al calduccio.

Il lodge è il classico rifugio di montagna. Le camere sono piccolissime, decisamente povere e c'è un'unica stanza comune riscaldata con la stufa dove tutti i trekker si siedono alla ricerca di un po' di tepore. Un gruppo di francesi gioca a "UNO", io chiacchiero con Daniela e Paul e faccio conoscenza con un italiano, Andrea di Trento. Anche lui è in trekking solitario con una guida, ma fa il percorso inverso al mio, da nord a sud. Mi racconta che a Gosaikunda, una delle mie prossime tappe, ha patito il freddo e ci sono stati momenti in cui gli mancava l'ossigeno. In compenso mi descrive paesaggi bellissimi, caricandomi di entusiasmo. Scopro che è divorziato con due figlie e lavora in banca, ma per problemi agli occhi è fermo da tre mesi. È la sua terza volta in Nepal e mi spiega che lo trova molto cambiato. Sono contento di averlo incontrato, mi sembra una persona piacevole.

Il lodge è affollato quindi condivido di nuovo la stanzetta con Ram. Il posto in fondo è bello, ma ultra spartano. Raccolgo i vestiti che avevo messo ad asciugare vicino alla stufa e mi rannicchio nel sacco a pelo. Sono le ore 20.40.


GIORNO 4
Domenica 21/10/2012

La notte è stata parecchio movimentata a causa del freddo. Ho dormito completamente avvolto nel sacco a pelo, ma mi risvegliavo ad ogni movimento e per via del fumo della stufa proveniente dalla stanza accanto
Mi risveglio super infreddolito e con i piedi ghiacciati. Preparo lo zaino e vado a fare colazione, cercando di riscaldarmi e saziarmi con un pancake, un'omelette e un tè bollente allo zenzero. Faccio quattro chiacchiere con Andrea; il suo trekking è quasi giunto al termine e i prossimi due o tre giorni saranno per lui sempre in discesa, quindi mi regala una bustina di integratori e un barattolino di Nescaffè, che lui utilizza per rinforzare la brodaglia che i locali chiamano caffè. Accetto gli integratori e rifiuto gentilmente il caffè, spiegando che sono ormai tre mesi che ho rinunciato alla caffeina. Saluto anche Paul e Daniela poiché da questo momento i nostri percorsi si dividono: loro continueranno verso nord, mentre io e Ram prenderemo una deviazione temporanea verso est, prima di ritornare sul percorso principale.

Prima di incamminarci saliamo su una collinetta per ammirare lo spettacolo delle montagne: il Dorje Lakpa e il Cho Oyu si stagliano sul cielo azzurrissimo, sovrastando la vallata e regalando una vista incredibile. Scenario onirico.

Baciato dai raggi del sole, riacquisto tepore e sensibilità alle dita, fino a quel momento intirizzite. Sono le 8.30 quando ci rimettiamo in marcia.
Il sentiero è tutto in discesa e si districa in una paradisiaca foresta di conifere. Sto bene, sono felice, l'entusiasmo è a mille. Fino al momento in cui non realizzo un dettaglio importante: tutta questa discesa a gradini dovrò farla tra due giorni in salita: panico! È la prima volta in questo trekking che seguo un sentiero che dovrò ripercorrere e l'idea non è delle più allettanti.

Inizio a cantare per esorcizzare i pensieri nefasti. Ho quasi una regressione all'infanzia e mi ritrovo a intonare canzoni della mia gioventù e degli anni '60. Ricordo quando le ascoltavamo in macchina alla domenica mentre andavamo a Selvaggio, un piccolo villaggio in Piemonte dove i miei nonni materni trascorrevano il periodo estivo. In quelle valli ho avuto le mie prime esperienze nei boschi e ora, in mezzo a questa stupenda natura, mi ritrovo a ripercorrere con la mente quei momenti.

Mano a mano che scendiamo, le conifere lasciano spazio ai rododendri ed io mi godo il panorama della vallata.
Attraversiamo un ponte sospeso procedendo con passo spedito. Fisicamente sto bene, ma caviglie e ginocchia sono messe alla prova.

In due ore raggiungiamo Malemchigaon (2.530 m) e nel frattempo penso al fatto che la risalita, tra un paio di giorni, durerà almeno il doppio. Malemchigaon è un bel villaggio con le case sparse sul versante della collina. Ci fermiamo per pranzo ed assaporo una zuppa di noodles.

Quando arrivano anche i francesi decidiamo che è tempo di ripartire. Loro si sistemano nelle stanze del lodge in cui passeranno la notte, mentre noi riprendiamo la discesa, fino a raggiungere quota 1.920 m, dove superiamo un altro ponte sospeso sul fiume Khola.

Qui finisce la pacchia e inizia una dura salita; anche Ram sembra accusare la fatica (alleluja, è umano!). Mi sento abbastanza stremato e per la disperazione inizio a cantare La marcia di Topolino come nel finale di Full Metal Jacket. Superiamo un monastero e diversi stupa ma non ho le forze di fare foto (le farò poi al ritorno, in discesa). E proprio in questo momento mi viene in mente che non ho fatto nessuna foto insieme ad Andrea, Paul e Daniela, mannaggiammè.

Sono le 14.00 quando finalmente vediamo le bandierine di preghiera tibetane sventolare nell'aria: siamo a Tarke Ghyang (2.590 m), il più grande centro abitato dell'Helambu. Il villaggio è tranquillissimo e al momento sembra deserto poiché sono tutti al monastero buddista.

Collasso sul prato e mi godo il sole, prima di concedermi una doccia calda. Sciacquo i vestiti, faccio quattro chiacchiere con due ragazzi francesi e attendo il tanto agognato momento della cena. La camminata di ieri era finita molto più tardi e una volta arrivati in cima abbiamo trovato freddo e nebbia ad attenderci, quindi l'unica alternativa possibile era rintanarsi al calduccio nella stanza comune con la stufa. Ora, invece, mi godo questi momenti di relax al sole, scrivendo, leggendo, ascoltando musica e bevendo un saporito tè nero. La fatica di qualche ora fa è un ricordo lontano.

Quando il sole si nasconde dietro l'orizzonte, la temperatura inizia a scendere; ordino la cena e mi rintano a leggere nel sacco a pelo.
Alle 18 il mio dal bhat è pronto. Mi accovaccio per terra, su un tappeto vicino al fuoco dove tutti i piatti vengono preparati. L'atmosfera è intima e accogliente. Ordino degli Snicker momo: i momo sono i tipici ravioli al vapore nepalesi e tibetani, e vengono generalmente riempiti con carne di bufalo, di pollo, verdure, formaggio o patate. Eppure ho già notato altre volte durante il trekking che molti posti offrono la variante dolce con il ripieno di Snickers. Assaggio con curiosità questi ravioli dolci e scopro che assomigliano a delle crepe! Offro un morso ai francesi, prendo il mio quaderno e ripasso nepali insieme a Ram. Serata davvero gradevole.


GIORNO 5
Lunedì 22/10/2012

Sveglia alle 5.30, colazione alle 6 vicino al fuoco. Scambio qualche parola con il giovane ragazzo che gestisce il lodge.

Fa fresco. Indosso il pantalone lungo e la felpa e per la prima volta lo zaino è leggero (datemi un "Amen"!). Molte delle cose che avevo, infatti, le ho lasciate in camera: la tappa di oggi prevede il raggiungimento di una cima e il ritorno al punto di partenza. Attraversiamo il villaggio e iniziamo la salita verso lo Yangri Peak. Siamo sul versante ovest, quindi completamente all'ombra. Ho le mani ghiacciate, ma sono carico d'energia e saliamo con un buon passo. Non appena comincio a sudare, il freddo penetra fino alle ossa. Lungo il sentiero troviamo un piccolo angolo illuminato dal sole e decidiamo di fare una pausa per riscaldarci.

Quando riprendiamo la camminata, vediamo due bambini risalire il sentiero. Il più piccolo avrà al massimo 4 anni, il più grande 6 o 7 e trasporta una pesante tanica d'acqua agganciata alla testa con una corda, nel più classico stile dei portatori nepalesi. Affrettiamo il passo per raggiungerli, tocco il bimbo più grande sulla spalla, gli sorrido e gli faccio cenno di lasciarmi la tanica. Percorriamo insieme alcune centinaia di metri e arriviamo ad una spianata, dove troviamo una capanna che si rivela essere la loro casa. Esce la madre e scambia due parole con Ram. Intorno ci sono un paio di mucche intente a pascolare e la donna ci spiega che ne alleva più di una ventina.

Approfittiamo del calore del sole e faccio una foto con i bambini. Vediamo la cima dello Yangri Peak illuminata dal sole, è un buon presagio. Vista da qui, la sagoma mi ricorda quella del Musinè. Ripartiamo inoltrandoci nel bosco. È un'ottima camminata, la migliore di questi giorni.

Dopo circa mezz'ora di marcia troviamo un altro angolo di sole e ci fermiamo ancora una volta per riscaldarci, addentando la cioccolata.
Quando ripartiamo, la boscaglia si dirada lasciando spazio ai cespugli. Il sole ora è alle nostre spalle e ci dà la spinta. Il sentiero diventa ripido e il fiato si fa corto. Dopo circa due ore e mezzo di salita arriviamo in cima a 3.771 m e ci accoglie la vista di un bellissimo chorten.
La vista sulle montagne è superlativa, siamo al di sopra delle nuvole e dominiamo l'intera vallata.

È il momento perfetto per un po' di relax, qualche foto e pranzo al sacco a base di uova e pane tibetano.

Arrivano sei nepalesi un po' casinisti e si dedicano all'esecuzione di alcuni riti buddisti; anche loro pranzano in fretta per poi ridiscendere da dove sono venuti..

Resto seduto al sole ascoltando musica e contemplando la suprema raffinatezza della natura che mi circonda.

Si torna giù. Sul sentiero incontriamo un ragazzo e una ragazza nepalesi che alloggiano nel nostro lodge e che salgono verso la cima. Poco dopo arriviamo alla baracca dove incontriamo altre due ragazze dello stesso gruppo. Escono i due bimbi che avevo incontrato salendo e offro loro gli ultimi quadretti di cioccolata che mi sono rimasti.

Mentre riprendiamo la discesa, la mente è libera e serena. Penso ai prossimi giorni di camminata, a idee, a progetti futuri.
In breve tempo siamo a valle. Lavo i vestiti, faccio una doccia e mi godo la merenda con tè e biscotti. Sono seduto al tavolo con Sarita, una ragazza indiana che si trova da due mesi in Nepal, e presto ci raggiunge Kabita. Sono le due ragazze che ho incontrato alla capanna dei bambini. Conversiamo, facciamo conoscenza e scopro che Kabita è nata in Italia da genitori nepalesi, ha studiato all'estero ed è tornata da un anno in Nepal, per riscoprire da vicino il proprio paese. Nel frattempo arrivano anche il ragazzo e la ragazza che abbiamo visto salire, Roman e Astha, entrambi nepalesi rientrati da poco dopo aver vissuto e studiato all'estero; anche Astha è nata e vissuta in Italia, parla italiano ed è in Nepal da un mese. Sono qui per una breve vacanza e domani rientrano a Kathmandu. Ci immergiamo in conversazioni interessanti su cultura, religione e lavoro fino a quando il sole tramonta oltre la valle.

Al monastero, oggi, c'è una celebrazione particolare. In città è il giorno dedicato al massacro di migliaia di animali che vengono sacrificati agli dei. Per compensare, i monaci oggi non possono né parlare né mangiare, ma soltanto recitare i mantra. Sentiamo il suono dei tamburi e delle campane in lontananza e decidiamo di fare una breve visita. Togliamo le scarpe, entriamo nel gompa, ci sediamo in un angolo e seguiamo il rito buddista. I monaci siedono su due file e recitano le preghiere, accompagnati dal suono dei cimbali e dei tamburi. Sulle pareti vediamo diverse raffigurazioni religiose e naturalmente non mancano le statue del Buddha. Nonostante la nostra presenza i monaci proseguono il rito indisturbati e solo ogni tanto lanciano un'occhiata verso di noi, incuriositi dalla nostra presenza almeno quanto noi lo siamo nei loro confronti. Scelgo di lasciare da parte, per una volta, ogni mia perplessità in tema di riti e religioni, e mi lascio cullare dal ritmo ammaliante dei mantra. Senza dubbio un'esperienza che non capita tutti i giorni…

Torniamo al lodge ed è ora di cena. È arrivata anche la comitiva di francesi che, come al solito, gioca a carte. È un momento eccezionale. Sediamo tutti nella stessa stanza: trekker, guide, portatori e la famiglia che gestisce il rifugio. Siamo tutti affamati e sul viso di ognuno si intravedono i segni della stanchezza illuminata dalla soddisfazione per la giornata appena trascorsa. C'è molto più affollamento di ieri sera e io leggo il mio libro seduto su una panca a gambe incrociate.
Poco più in là c'è un gran movimento per la preparazione del cibo. Vedo la ragazzina della famiglia impastare i miei momo, mentre la sorella più grande avvolge il ripieno nella pasta, la madre travasa l'acqua bollente nei contenitori termici e il figlio più grande sta dietro ai fornelli. I nepalesi tutti scalzi, sempre, a qualsiasi ora, a qualsiasi temperatura.

Il gruppo di guide e portatori è seduto intorno al fuoco. Uno di loro affetta della cipolla per condire dei noodles secchi e si pulisce le mani sulla tuta. Mi accorgo che sui pantaloni c'è il simbolo della Kappa, marchio tessile della città in cui sono nato e cresciuto. Sono seduto a un metro da lui e penso allo spaccio di Torino, all'insegna del negozio, alla sistemazione degli scaffali, a un caro amico di famiglia che ci lavora. Ancora una volta il mondo mi appare tremendamente più piccolo di quanto sembri normalmente.

Starnutisco, ho il raffreddore. Sono le 19.52, finisco il tè e vado a dormire, per la prima volta prima io di Ram.


GIORNO 6
Martedì 23/10/2012

Sveglia alle 6.30, colazione a base di Snicker momo, foto di gruppo e si parte.
La prima parte è tutta in discesa; superiamo alcune abitazioni, attraversiamo dei campi di soia, le coltivazioni di patate e pomodori e oltrepassiamo piccole piantagioni di mais ormai seccato al sole. Vengo travolto dall'odore del miele; era successo già all'andata, ma non riesco a capire da dove provenga.

In un'oretta siamo a fondo valle, dopo aver superato alcuni corsi d'acqua e uno dei due ponti sospesi. Qui inizia il primo tratto di salita. Scegliamo di evitare il sentiero nel bosco e di prendere, invece, una mulattiera che risale la collina a mezzacosta: più lunga, ma meno ripida. Siamo esposti al sole, tuttavia l'aria è fresca e prendiamo una discreta andatura. Siamo i soli lungo tutta la strada. Durante il cammino superiamo diverse frane, resti della recente stagione monsonica. In alcuni casi la terra è scivolata giù con delle pietre, altre volte sono caduti anche degli alberi e in certi punti troviamo sul nostro cammino delle rocce grandi come camion.
Dopo l'ennesimo tornante avverto l'odore di lavanda e avvisto le bandierine che segnalano il villaggio: siamo nuovamente a Malemchigaon. Pranziamo nello stesso locale dell'andata e divoro due zuppe di noodles e un piatto di patate.
Terminata la pausa, è ora di riprendere la salita. La mulattiera è finita quindi siamo costretti e inoltrarci nella foresta, seguendo il sentiero che avevamo percorso in discesa all'andata, qualche giorno prima. I gradini cominciano a diventare un'ossessione e mi riprometto di non pensare più alla parola "gradino" per tutto il resto della giornata.

Incontriamo un signore dall'accento americano insieme alla sua guida, diamo loro qualche info sulle tempistiche per arrivare a Malemchigaon e dopo aver scoperto da dove arriviamo e dove siamo diretti la guida mi guarda e mi dice "Long way, uh?!", con l'aria di uno che pensa "Tu si' tutto scimunito!". Ci salutiamo e riprendiamo il cammino.

Le gambe sono pesanti, le spalle chiedono pietà, il fiato è corto, ma la mente è libera. La magnificenza della foresta che mi circonda mi riscalda il cuore dandomi l'energia per proseguire. Facciamo due o tre pause lungo il percorso per rifiatare, per acclimatarci con più lentezza alla crescente altitudine e per addentare qualche quadretto di cioccolata.

Ad un certo punto la foresta si dirada, raggiungiamo una spianata e a pochi metri da noi, sulla sinistra, vediamo all'improvviso due possenti yak! Brucano placidamente e si incamminano lungo un sentiero secondario. Decido di seguirli, mantenendo una discreta distanza e facendo il minor rumore possibile, sperando che non si spaventino e non decidano di caricarmi con le loro enormi corna. Li seguo fino ad un'altra radura e mi fermo qualche minuto a contemplarli, prima di riprendere il sentiero che avevo abbandonato.

Dopo 3 ore dall'inizio della salita, i lodge di Tharepati appaiono come una visione in cima alla salita. Ci concediamo un tè caldo e una manciata di biscotti, mentre Ram socializza con una guida proveniente dal suo stesso villaggio.

La terza e ultima tappa della giornata è Ghopte. Il sentiero si dirama in discesa e presto ci avventuriamo in un'area costellata di rocce ricoperte di piante e muschio e franate forse qualche centinaio, se non qualche migliaio, di anni fa. Il terreno si fa accidentato e pericoloso per le caviglie, ma allo stesso tempo meno faticoso e decisamente più divertente. Il panorama mi ricorda quello delle montagne islandesi e riaffiorano i ricordi delle escursioni con Gulli (la mia fidata guida sulla terra dei vichinghi) e gli altri ragazzi conosciuti durante uno dei periodi più belli e stimolanti della mia vita. Ripenso alla nostra ultima salita a Hveragerði, tra neve e ghiaccio a -15°C, prima di immergerci nelle calde acque del fiume. Mi chiedo se anche al termine di questa giornata troverò una pozza termale ad attendermi, ma ho come l'impressione che ciò non accadrà.

Mentre continuiamo a camminare faccio due conti e realizzo che, sebbene Ghopte sia qualche centinaio di metri più in basso di Tharepati, stiamo scendendo troppo e che quindi presto incontreremo una nuova salita. Non faccio in tempo a terminare il ragionamento che il sentiero cambia pendenza e inizia nuovamente ad inerpicarsi sulla montagna.

Incontriamo un masso gigante, grande come un condominio, che sembra sorretto da un sottile filo invisibile. Tutto ciò che riesco a pensare mentre vi passiamo sotto e Ram ci si appoggia con una mano è "Per favore, non cadere adesso!".

Superiamo un piccolo rifugio e dopo un'altra mezz'ora di salita raggiungiamo finalmente Ghopte. Sono passate otto ore e un quarto da quando siamo partiti questa mattina e come direbbe Forrest Gump: "Sono un po' stanchino".

Ci sistemiamo in camera, ci diamo una ripulita e ordiniamo un tè caldo.
Il paesaggio è avvolto dalle nuvole che solo ogni tanto si lasciano penetrare dai raggi del sole.
Al tavolo esterno c'è un gruppo di tre ragazze e un ragazzo tedeschi e mi accorgo che lui parla anche nepali.

Entro a riscaldarmi nella dining room con la stufa e osservo le persone intorno a me. Alla mia sinistra ci sono due coppiette di francesi che si rilassano chiacchierando, leggendo e ascoltando musica. Di fronte a me c'è una famiglia francese che naturalmente gioca a "UNO" (ma quanti sono 'sti francesi?! E perché giocano sempre a "UNO"?!) con due bambini che non avranno più di 10-11 anni. Sono i primi ragazzini occidentali che incontro da quando ho iniziato il trekking e rimango sorpreso di vederli quassù. Alla mia destra siede una coppia sulla cinquantina ; non capisco da dove vengano, ma parlano inglese tra di loro. Una lunga stagione hippie ha lasciato segni evidenti nel loro sguardo, sulla loro pelle, nei loro vestiti e nel modo di muoversi. Indossano magliette con sgargianti e variopinte con il simbolo dell'"OM", hanno tatuaggi homemade sulle mani e si scambiano baci affettuosi come fossero due teenager. Lei è sdraiata con la testa sulle sue gambe, lui l'accarezza e legge un libro ad alta voce: nella lettura percepisco il carisma e l'intonazione di un portone che cigola e mi torna alla mente Alex, il personaggio di uno dei film più brutti e insignificanti (e paradossalmente divertenti) della storia del cinema, "The House That Drips Blood on Alex". Mi sta facendo impazzire, rischio un collasso cerebrale.

Il mio dal bhat è pronto e lo mangio con gusto. Terminata la cena, leggo e scrivo, sorseggiando un tè nero.
Ho finito i fazzoletti e il mio raffreddore non accenna a retrocedere.

Ore 20.25, spengo la luce. È stata una grande giornata.


GIORNO 7
Mercoledì 24/10/2012

Sveglia alle 6.20, colazione a base di omelette, pancake al cioccolato e due tazze di tè allo zenzero.

Oggi si fa sul serio.
La prima parte del sentiero è piacevole, ricca di saliscendi. Oltrepassiamo alcune cascate d'acqua e superiamo i quattro tedeschi e i due freak.
So che nel corso della giornata raggiungeremo un'altitudine notevole, quindi decido di fare una pausa di cinque minuti all'incirca ogni mezz'ora, per dare modo al cuore, ai polmoni, al cervello e ai muscoli di ossigenare, abituandosi lentamente alla quota. Nel frattempo provo ad arricchire il mio bagaglio linguistico imparando nuove frasi in nepali chiedendo le traduzioni a Ram, ma abbiamo qualche difficoltà a capirci.

Dopo circa due ore e mezza arriviamo a Phedi, a quota 3.731 m, dove pranziamo e dove, poco a poco, ci raggiungono anche gli altri che avevamo superato. Qui vediamo i resti di un aereo della Thai Airlines schiantatosi sul fianco della montagna nel 1992. Nell'incidente morirono tutte le 113 persone a bordo e un piccolo chorten ricorda i caduti di quella tragedia.

Soffia il vento, l'aria fredda si insinua oltre la pelle. Noto dei fiori finti immersi in un vaso pieno d'acqua e non posso fare a meno di pormi grandi domande esistenziali mentre divoro la mia zuppa e le mie patate.

Riprendiamo il nostro cammino e dopo mezz'ora gran parte della vegetazione scompare. Gli unici a resistere sono muschi, licheni, un po' d'erba ingiallita, alcuni arbusti e qualche tenace fiore.
Tocchiamo quota 4.000 m e il cielo ci regala una breve ma incantevole nevicata. Più che fiocchi di neve sembrano minuscoli granelli di grandine, scendono dolcemente dal cielo e rimbalzano delicatamente al suolo. Il paesaggio lentamente si imbianca.

Continuiamo sul nostro tracciato, molto bello e godibile. Il sentiero si snoda tra rocce e pietraie, la pendenza non è eccessiva e il panorama è fiabesco. Raggiungiamo i quattro tedeschi che erano ripartiti prima di noi e scambiamo qualche parola. Scopro che il ragazzo e una delle ragazze sono fidanzati e vivono in Nepal da tre anni e mezzo, mentre le altre due amiche sono semplicemente in vacanza.
Qualche minuto prima avevamo incrociato tre israeliani che stavano tornando indietro per paura di imbattersi in troppa neve, ma incontriamo alcuni portatori sherpa che ci rassicurano sulla praticabilità del passo.

Continuiamo a camminare e a fare qualche breve pausa per l'acclimatazione, finché dopo due ore e mezza di salita raggiungiamo finalmente il passo di Laurebina, a 4.610 m. È il punto più alto della nostra tappa odierna, da qui in poi la strada sarà leggermente in discesa. Proseguiamo la marcia e da lontano avvistiamo Gosaikunda, la nostra meta giornaliera, dove scorgiamo alcuni rifugi che si affacciano sulle sponde di alcuni bellissimi laghi. Questi laghi sono considerati sacri e hanno un ruolo importante nella tradizione induista. Secondo la mitologia, Lord Shiva bevve in un gesto estremo di sacrificio il pericolosissimo veleno Halahala, ma la dea Parvati venne in suo soccorso premendogli il collo per evitare che il veleno raggiungesse il suo stomaco, dove sempre secondo la leggenda era contenuto l'intero universo. Questo è il motivo per cui Shiva viene spesso raffigurato con il collo o l'intero corpo di colore blu. Quando, tuttavia, il bruciore del veleno divenne insopportabile, Shiva conficcò il suo tridente nel terreno in cerca di acqua fresca, formando così i laghi di Gosaikunda.

Come durante il resto del trekking, non abbiamo prenotato la sistemazione in anticipo, ma questa volta ci ritroviamo con un'amara sorpresa: tutti i lodge sono pieni, bussiamo a ogni porta ma non c'è nessuna camera disponibile. Mi siedo al caldo all'interno di un rifugio, in attesa di capire come si evolverà la situazione e dopo un po' di attesa la proprietaria di un lodge ci informa che due trekker hanno annullato la loro prenotazione: yeah! Almeno per questa notte non ci iberniamo. O almeno questo è ciò che penso fino a quando la signora non ci mostra la camera. La stanza è gelata. Noto che ha ripreso a nevicare con più forza e me ne accorgo perché nevica dentro, nonostante le finestre siano chiuse. Qualcosa mi fa pensare che gli inflissi non supererebbero un sopralluogo dell'associazione consumatori…

Mi cambio, indossando quasi tutti i vestiti che ho nello zaino e mi rintano nella stanza con la stufa, bevendo un tè caldo, alla ricerca di un po' di calore. Tutti i rifugi in cui sono stato finora utilizzano legna per alimentare la stufa, in nessun caso ho visto utilizzare il cherosene. Il disboscamento è uno dei problemi che affliggono queste regioni. Gli abitanti del posto utilizzano la legna per costruire e riscaldarsi e l'incremento del turismo di montagna ha portato inevitabilmente a un incremento dell'abbattimento di alberi. Ogni rifugio, però, è dotato di piccoli pannelli solari che vengono utilizzati per illuminare la stanza principale e per permettere ai trekker di ricaricare cellulari e batterie (pagando per il servizio, naturalmente).

Il lodge è pieno di persone: una schiera di immancabili francesi (daje!), qualche crucco, un paio di danesi e una famigliola che parla inglese composta da due sorelle, le due figlie di una di loro (7 e 9 anni) e il nonno. Le bambine giocano a carte con le guide e i portatori nepalesi e mi fa di ancora una volta effetto vedere due bambine occidentali a questa altitudine. Nel rifugio ci sono anche diversi bambini nepalesi, ma in qualche modo sono più abituato a incontrarli sul mio cammino.

I raggi del sole filtrano dalle finestre e mi rendo conto che fuori c'è un tramonto clamoroso, ma ho troppo freddo per uscire ora e in ogni caso resterò qui tre notti.

Quella di oggi è stata una camminata bellissima, e nel complesso posso dire di aver vissuto una meravigliosa giornata. La mia preoccupazione più grande era il mal di montagna, che a certe altitudini può dare disturbi gravi e risultare persino fatale. Sono felice di stare bene e di non avere ancora avuto alcun sintomo. L'aria di montagna è fredda e secca e si corre il rischio di disidratarsi facilmente, quindi ogni giorno bevo almeno due litri d'acqua più zuppe varie e numerose tazze di tè. Un vecchio adagio recita "cammina in alto e dormi in basso" ed è esattamente ciò che sto facendo oggi, perché dopo il passo di Laurebina siamo scesi a Gosaikunda a quota 4.380 m. Mi fermerò qui un giorno per acclimatarmi e rilassarmi prima della prossima sfida, la più impegnativa di tutte…

Gusto con piacere la mia cena, scambio qualche parola con Thomas, uno dei due danesi, fino a quando non sento il dolce richiamo di Orfeo.


GIORNO 8
Giovedì 25/10/2012

Mi sveglio alle 8 (tardissimo secondo gli standard dell'ultima settimana), faccio colazione e decido di concedermi una sana giornata di relax.

Indosso tutti i vestiti che ho nello zaino, compresi calzamaglia, due pile, giaccone, guanti e berretto, e mi avventuro sulle rive di uno dei due laghi. Trovo una roccia confortevole, mi siedo e rimango immobile per le successive tre ore a contemplare la natura, godendo del tiepido calore del sole. La mente vaga liberamente e provo a calcolare che ore possano essere in Italia. Familiari ed amici stanno ancora dormendo e tra poco si sveglieranno: cerco di immaginare la loro giornata, pensando alla loro vita e alla mia prima di partire...

Il freddo penetra lentamente nelle ossa e il mio stomaco reclama del cibo, quindi mi avvio verso il lodge per il pranzo. Una volta placati i morsi della fame, salgo insieme a Ram al view point per inviare alcuni sms e per ottenere un buon punto d'osservazione sulla vallata. Il lontananza scorgo il Surya Peak, meta della mia tappa di domani, mentre più a nord svettano alcune cime innevate, tra cui riconosco il Langtang Lirung.

Torniamo al lodge e ci riscaldiamo con un tè caldo, quindi decido di uscire nuovamente. Raggiungo un enorme masso a picco sul secondo lago e mi siedo a gambe incrociate per ammirare lo sbalorditivo panorama che si apre di fronte i miei occhi. Ho portato con me libri e quaderni per gli appunti, ma l'unica cosa che riesco a fare è ascoltare un po' di musica, completamente rapito dalla perfezione celestiale della natura. Le note dolci di Spiegel im Spiegel vibrano in ogni centimetro del mio corpo suggellando con morbide pennellate la perfezione dello scenario che mi circonda. "In quel momento fu come se il tempo si fermasse, e l'Anima del Mondo sorgesse con tutta la sua forza davanti al ragazzo. […] Ed era là, il linguaggio puro del mondo, senza alcuna spiegazione, perché l'universo non aveva bisogno di spiegazioni per proseguire il proprio cammino nello spazio senza fine." 

Sto bene, sono incredibilmente felice, in pace con l'universo.
Come durante la mattinata, il mio pensiero fluttua spesso verso casa, verso la mia famiglia, gli amici. Vorrei che ognuno di loro fosse qui per condividere con me questo momento, queste sensazioni.

Il cielo si colora di rosso e mi godo il tramonto, osservando il sole scomparire all'orizzonte, per poi fare ritorno al lodge prima che il buio serale inglobi gli ultimi raggi di luce.

Dopo cena rimango seduto nella stanza con la stufa e inizio a chiacchierare con una simpaticissima signora francese di 62 anni, Simone. Mi racconta che questa è la sua seconda volta in Nepal (la prima fu nel 1988!) e che trova il paese incredibilmente cambiato. Mi spiega anche che questo trekking rappresenta per lei una sorta di eccezione, poiché sono circa vent'anni che ogni autunno fa trekking in Ladakh, una regione di cui è follemente innamorata.
Cala la notte e ci salutiamo, avviandoci verso le rispettive stanze. Domani sarà una giornata importante.


GIORNO 9
Venerdì 26/10/2012

Sveglia alle 6.30. Faccio una colazione sostanziosa e preparo lo zaino, svuotandolo di tutte le cose non necessarie
Ho freddo. Per la seconda notte consecutiva ho dormito dentro il sacco a pelo, coprendomi con la coperta, indossando quasi tutti i vestiti e tappando gli spifferi del muro con l'asciugamano.

Attendevo da tempo questa giornata. Il nostro obiettivo odierno è la vetta del Surya Peak.
Ci incamminiamo nuovamente verso il passo di Laurebina che abbiamo valicato un paio di giorni prima. Sul sentiero l'acqua è ghiacciata, indice del fatto che la temperatura è scesa parecchio sotto lo zero durante la notte. Arrivati in cima al passo prendiamo un sentiero secondario e ci dirigiamo verso le vette alla nostra sinistra. Il tracciato sparisce ben presto sotto i nostri piedi e ci ritroviamo a camminare su erba, muschio e pietraie. Cerchiamo il punto migliore da cui attaccare la vetta e decidiamo di provare da ovest. La salita si rivela subito impegnativa, le pietre scivolano sotto i nostri piedi e fatichiamo a trovare solidi punti d'appoggio. Il fiato è corto ma in ogni caso siamo costretti a procedere molto lentamente. Superiamo un primo pendio, percorriamo un tratto in discesa e di fronte a noi si presenta una nuova salita, più ripida, di rocce e pietre.
La percentuale di ossigeno nell'aria a quest'altitudine non supera il 52-53%. Procediamo con fatica, ogni passo presenta qualche difficoltà, rischiamo di scivolare e non ho la più pallida di idea di come faremo a scendere. Per qualche istante prendo in considerazione l'idea di rinunciare, ma poi mi fermo qualche secondo, respiro, mi rilasso e continuo a salire, mentre di fronte a noi si apre la vista sul Langtang Lirung e sui picchi del Ganesh Himal. Enormi lastre di pietra e blocchi di roccia costituiscono l'unico terreno sotto i nostri piedi. Più volte scivolo e mi devo aggrappare con le mani. Più che una camminata sembra una scalata. 
Infine, dopo circa tre ore di salita, fatica e scivoloni, raggiungiamo finalmente la vetta del Surya Peak, a quota 5.145 m! È il punto più alto del mio trekking e il più elevato che abbia mai raggiunto. È una sensazione indescrivibile! Sono stanco, ma incredibilmente felice e in pace con il mondo. Seppur con fatica e qualche difficoltà ho raggiunto un importante obiettivo, vincendo una delle sfide che mi ero prefissato per questi dodici giorni.

La visuale spazia a 360°. Sul lato sud le nuvole coprono quasi interamente la vallata sottostante, mentre sul versante nord svettano imponenti le cime himalayane: il Langtang Lirung (7.227 m), le vette innevate del Tibet, la catena del Ganesh Himāl, con quattro picchi oltre i settemila e quattordici sopra i seimila, fino al Manaslu (8.163 m) e all'Annapurna I (8.091 m), leggermente coperti dalle nuvole.

Aggiungo una fila di bandierine tibetane a quelle già presenti in vetta, a testimonianza e ricordo della scalata.
Mangiamo qualcosa prima di scattare alcune foto, dopodiché mi siedo e rimango in contemplazione ascoltando il silenzio e cercando di catturare nella memoria e nel cuore questi istanti di magia e incanto.

Riprendiamo la discesa, provando a passare sul versante opposto, che si rivela leggermente meno ripido. I grandi massi cedono il passo a piccole pietre e lastre di roccia, così ci troviamo a surfare letteralmente la montagna. In un'ora e un quarto siamo nuovamente sul sentiero che ci riporta verso i laghi e verso il lodge.

Mentre scendiamo realizzo che il mio trekking è praticamente finito, che le tappe restanti saranno una passeggiata e potrò rilassarmi e godermele al meglio. Tiro fuori dalla tasca un sacchetto di plastica e raccolgo i rifiuti che trovo lungo la strada. Inquinamento e immondizia sono problemi gravi ed estremamente diffusi sulle montagne himalayane. Ogni trekker che si avventura su questi tracciati sa che è meglio evitare le bottiglie di plastica, preferendo le pastiglie per purificare l'acqua, e che bisognerebbe conservare i propri scarti per riportarli a valle e smaltirli negli appositi spazi. Se parte dell'inquinamento va attribuito a turisti poco attenti nella gestione dei propri rifiuti, una buon fetta del problema dipende, però, dai nepalesi stessi. In Nepal non esiste una cultura diffusa del riciclaggio e del corretto smaltimento dell'immondizia. In città le persone gettano qualsiasi cosa per strada e dai ponti e questa pratica non cambia troppo nemmeno sulle montagne.

Quando arriviamo al rifugio, non paghi della fatica giornaliera, decidiamo di accelerare la tabella di marcia e di riprendere subito il cammino per scendere di quota e guadagnare un giorno di strada. Breve sosta, dunque, e si riparte.

La strada si dirama a mezza costa, con una leggera salita e per il resto tutta discesa, offrendo una panoramica mozzafiato sui laghi. Il sentiero sembra intagliato nella montagna. In un attimo ci ritroviamo a strapiombo sulla valle, con una gola profonda almeno un chilometro. Sembra di essere in un sogno o in un film di fantascienza. Le nuvole si muovono delicatamente spostate dal vento, in pochi istanti l'intero paesaggio cambia e ci ritroviamo immersi in una coltre bianca, con una visibilità che non supera i dieci metri.

Il sentiero si incunea all'interno della montagna e raggiungiamo un piccolo chorten. Qui inizia una discesa più ripida; il paesaggio è spettrale, con il terreno roccioso e polveroso completamente avvolto nella nebbia. Manteniamo un passo spedito, sia io che Ram siamo stanchi e desiderosi di raggiungere la nostra destinazione: pronunciamo una parola ogni mezz'ora, ma le gambe si muovono svelte. In breve tempo superiamo un piccolo villaggio, proseguendo diritti senza fermarci. Sorpassiamo anche Laurebina Yak e ci inoltriamo in una bella foresta che sembra quasi fatata e immobile nel tempo. Finalmente ritroviamo la vegetazione e non siamo più circondati solamente da muschio e arbusti. Il clima è più mite, il sole regala maggior calore.

Dopo circa due ore di cammino arriviamo a Shin Gompa, minuscolo villaggio a 3.330 m con un monastero e qualche lodge. Di per sé, forse, non è nulla di speciale, ma dopo diversi giorni di freddo in quota, di stanze piccole, ghiacciate e umide, non mi sembra vero di avere una stanza tutta per me e di poter fare una doccia bollente nel mio bagno personale. Mi sdraio sul letto e raggiungo il paradiso. La luce rossa del tramonto inonda la valle e penetra nella stanza attraverso le tende.

Dopo un breve pisolino, mi godo un'ottima cena al caldo. il lodge è molto carino, con una zona dedicata e sedie e tavoli e un'altra con cuscini e divani intorno alla stufa. Siamo pochi. Due signori americani chiacchierano ai tavoli, mentre sui divani ci sono cinque ragazzi e ragazze nepalesi e due occidentali. Mi accorgo subito di come lui, Paul, parli un nepalese perfetto. Le ragazze improvvisano una canzone tradizionale e un balletto, il clima è allegro e disteso e in breve facciamo conoscenza. La ragazza statunitense, Brooke, ha fondato tre anni fa una ONG e una scuola qui in Nepal insieme a Sudan, uno dei ragazzi nepalesi che all'epoca della sua prima visita in Nepal le aveva fatto da guida in un trekking. Paul ha studiato per cinque anni nepali, anche lui è fisso qui da tre anni e ora tutti loro lavorano insieme.
Domani andranno tutti a Gosaikunda, ma per non patire il freddo contano di tornare giù in giornata, quindi ci rivedremo alla sera. Io mi sono innamorato di questo posto e rimarrò qui tutto il giorno in puro relax.

Mi corico nel letto, dò un'occhiata alle foto e mi addormento come un bambino.


GIORNO 10
Sabato 27/10/2012

Sveglia (incredibilmente) alle nove. Colazione con tè e soffice brioche alla cannella. Il sole splende nel cielo e mi concedo una passeggiata nel minuscolo villaggio. Dei ragazzini fanno avanti e indietro a cavallo, il quale non sembra eccessivamente contento della loro compagnia.
Realizzo ora che sto effettuando un ritorno alla normalità e che dopo giorni di cammino, freddo e scomodità presto tornerò alla vita quotidiana, con tutti i comfort che questa permette (persino in un paese come il Nepal). Anche se, tutto sommato, resterei qui un'altra settimana con qualche buon libro e una crema solare.

Ore 15.38, come non detto, nevica. O grandina. O entrambe le cose. Dal cielo piovono piccole palline di ghiaccio. Rimbalzano al suolo e si sciolgono in minuscole pozzanghere. Ritiro i vestiti che avevo lavato e messo ad asciugare. Trascorrono cinque minuti ed è tutto finito, il sole splende nuovamente nel cielo.

Incontro il gruppo di nepalesi e americani, appena tornati da Gosaikunda. Mi raccontano che ha nevicato per due ore e cha hanno patito parecchio il freddo. Ceniamo insieme e approfondiamo la nostra conoscenza. Ci troviamo bene e mi sembrano tutte persone interessanti, quindi cambio i piani per la giornata di domani e decido di aggregarmi a loro. Partiremo alle sette di mattina.

Termino la giornata studiando nepali insieme a Ram e insegnandogli qualche parola di italiano.


GIORNO 11
Domenica 28/10/2012

Facciamo tutti colazione insieme e ci scaldiamo al sole con qualche esercizio di stretching coordinato da Sudan. Come scoprirò durante la giornata, i ragazzi utilizzano un interessante metodo di leadership condivisa all'interno del gruppo, in cui ognuno di loro può proporre iniziative e farsi carico della gestione delle diverse attività. Ci incamminiamo lungo il sentiero: io indosso felpa sciarpa e guanti, ma naturalmente Ram è in maglietta… Chiacchiero con Brooke mentre proseguiamo all'interno del bosco. La portentosa vista delle montagne ci accompagna durante la nostra discesa e ci fermiamo a scattare qualche foto.

Mi accorgo che Goma, una delle ragazze nepalesi, zoppica. Mi offro più volte di portarle lo zaino, ma lei non si osa e si ostina ad andare avanti, fino a quando non riesco a farmelo dare con un trucchetto. Le ragazze non sono minimamente equipaggiate per una camminata in montagna e una di loro decide di camminare scalza (!) dopo essersi tolta le paperine che aveva indosso...

Facciamo una pausa e chiacchiero con Sudan, ascoltando i suoi racconti di quando faceva la guida sulle montagne.
Una volta ripartiti, attraversiamo un ponte sull'imponente fiume che attraversa la valle, le cui acque arrivano direttamente dal Tibet, superiamo un posto di controllo dei militari e finalmente siamo a Syabru Besi, quattro ore dopo la nostra partenza.

Ci sistemiamo in una guesthouse e ci sediamo per degustare una birra, il pranzo e un po' di meritato riposo.
Verso metà pomeriggio ci mobilitiamo per trovare un mezzo di trasporto per il giorno successivo, ma i fuoristrada sono troppo costosi e l'unica opzione disponibile rimane il tetto del bus locale. Quella di domani si prospetta una lunga giornata...

Andiamo alla ricerca di una hot spring, una fonte d'acqua termale che dovrebbe sgorgare nelle vicinanze. Portiamo con noi il necessario per fare il bagno, ma le nostre speranze ben presto si affievoliscono. Una donna si asciuga i capelli, un uomo si sciacqua il corpo e alcuni bambini sono a mollo in una vasca che altro non è che il lavatoio del villaggio. L'acqua è effettivamente tiepida, ma l'idea di immergerci non ci sfiora neanche lontanamente.

Il sole è tramontato e facendo ritorno verso la guesthouse notiamo un grosso falò nelle vicinanze di un piccolo tempio sulla collina. Compro frutta, qualche snack e trascorro le successive due ore perdendomi in una bellissima conversazione con Paul.

È ora di cena e tutti e nove affondiamo le dita nel riso, nelle patate, nelle verdure e nelle lenticchie del nostro dal bhat. Finito il pasto rimango a chiacchiera con Brooke e Paul fino a quando il sonno non ha il sopravvento.


GIORNO 12
Lunedì 29/10/2012

È il giorno del rientro. Sveglia alle 6, una breve colazione e siamo pronti ad affrontare la giornata.
Ram era riuscito a recuperare un paio di posti a sedere per il bus, ma abbiamo deciso di cederli alle ragazze, quindi usciamo dalla guesthouse e carichiamo gli zaini sul tetto del bus. Noi, tuttavia, non possiamo ancora sederci sopra perché a poca distanza dovrebbe esserci un posto di blocco, quindi ci incamminiamo a piedi per alcune centinaia di metri. Rimango perplesso dalla faccenda ma non mi preoccupo più di tanto e seguo il resto del gruppo. Aspettiamo fermi davanti al tunnel della centrale idroelettrica finché non vediamo arrivare il nostro bus: ci arrampichiamo sul tetto, cerchiamo una posizione più o meno comoda e si parte. Giaccone, guanti, sciarpa e berretto sono una barriera importante per ripararci dal freddo.

Nonostante siamo già oltre i 2.000 m, il bus sale ancora inerpicandosi su una strettissima strada piena di tornanti, precipizi e curve a strapiombo. Non è un viaggio adatto a chi soffre di vertigini. La vista, tuttavia, è indescrivibile. Dalla nostra posizione "privilegiata" riusciamo ad rimirare stupende vallate solcate dall'impetuose acque di un grosso fiume, minuscoli villaggi sorti sui fianchi delle colline e i profili maestosi delle montagne innevate, affrescate dalle prime luci del sole.

Arriviamo a Dunche e uno dei ragazzi che lavora sul bus ci fa cenno di scendere. Tra qualche curva ci sarà un posto di blocco e non possono correre il rischio di far vedere ai militari che trasportano gente seduta sul tetto. Ci incamminiamo quasi correndo, attraversando tutto il villaggio per sbucare all'estremità opposta e riprendere il bus una volta superati tutti i controlli. Sono allibito, non so se ridere o piangere. Il 99% degli autobus che percorre lunghe distanze nelle zone rurali trasporta decine di persone sul tetto. Tutti lo vedono, tutti lo sanno, polizia e militari compresi. Noi stessi passiamo in gruppo e senza bagagli davanti ai posti di blocco mostrando i documenti ed è palese che non abbiamo intenzione di farcela a piedi fino a Kathmandu, ma che qualche centinaio di metri più in là salteremo al volo sul tetto di un bus. Eppure questa procedura dello scendere e risalire si ripeterà una decina di volte nel corso della giornata. Alcune volte saremo costretti ad entrare tutti all'interno de bus, compressi come sardine in una scatola di latta: passando davanti all'ennesimo posto di blocco con un cartello che raffigura alcune norme di sicurezza noto una grossa croce rossa sulla foto di un bus che trasporta gente sul tetto e mi chiedo quanto sia più sicura la nostra attuale disposizione in cui mi reggo in piedi vicino all'entrata su un piede solo perché non ho lo spazio fisico per appoggiare anche l'altro.

Dopo una breve sosta per mangiare, il viaggio riprende fino a quando non saluto Paul & co., che scendono a metà strada per recarsi al villaggio in cui si trova la loro scuola. Proseguo il tragitto da solo, unico viso pallido su un tetto di soli nepalesi. Il freddo delle prime ore del mattino è un lontano ricordo, il cielo è terso e inizia a far caldo. Mi creo un lettino appoggiandomi al giaccone e allo zaino, mi sdraio ancorandomi bene alle ringhiere del bus e mi godo il calore del sole.

Ci fermiamo per un'ulteriore breve sosta e scambio qualche parola con un canadese che viaggia seduto all'interno. Lo invito a salire sopra, dove si sta decisamente più comodi, ma non se la sente e rifiuta cortesemente riprendendo il suo posto.

Mentre superiamo decine e decine di villaggi, non posso fare a meno di chiedermi cosa possa significare vivere in posti del genere. In alcuni casi si tratta di semplici baracche di lamiera a bordo strada accanto alle quali, immancabilmente, vedo giocare o lavorare ragazzini di ogni età. Mi chiedo come sia vivere qui in inverno, cosa mangino, dove dormano, come facciano a divertirsi, a imparare, a crescere. Vedo bambini piccolissimi in bilico su balconi di cemento o di argilla e senza ringhiere, bus che sfrecciano accanto a loro a clacson spiegati, le loro manine che rovistano nella polvere sul ciglio dell'asfalto. Penso alle mie nipotine che non potrebbero essere mai lasciate da sole in condizioni simili, a mia nonna che mi chiedeva di telefonarle per rassicurarla quando a 14 anni tornavo a casa in bici da solo e mi chiedo se siamo noi ad avere standard di controllo e sicurezza troppo elevati, se effettivamente qui non sia tutto troppo esagerato, o se, magari, la verità non stia nel mezzo.

Appollaiato al fondo del tetto mi diverto a osservare le espressioni dei nepalesi che mi guardano dai bus in coda dietro di noi. Mi fissano con stupore e divertimento come se avessero appena visto un delfino che vola. Stiamo quasi per entrare in città e ciò significa che è ora di scendere e ammassarsi all'interno del bus come americani dentro un McDonald's. Il bus fa una fermata e vedo scendere il signore che fino a qualche istante prima appoggiava il suo gomito sopra il mio mento: indossa una maglietta con la scritta Torino e il simbolo della città. Vorrei fermarlo e raccontargli di come son fatte le piazze, del fiume che scorre, delle piccole vie e dei mille ristoranti del centro, ma il bus riparte e ritorno inevitabilmente al presente.

Dopo circa 8 ore (o-t-t-o) di viaggio arriviamo alla fermata finale. Recupero lo zaino, fermo un taxi, abbraccio Ram ringraziandolo sinceramente per questi dodici giorni e faccio ritorno verso casa, ansioso di rivedere la mia famiglia nepalese e i nostri amici venuti a trovarci dall'India.


CONCLUSIONI

Questo trekking mi ha permesso di osservare il Nepal con occhi diversi, annusando profumi inediti, incontrando nuove persone e regalandomi un'immersione completa nella fantastica natura delle montagne himalayane. Torno a casa cambiato, carico di entusiasmo, ricco di energia: è stata senz'alcun dubbio una delle esperienze più belle, profonde e appaganti che abbia mai fatto nel corso della mia vita.

Sono convinto che ognuno di noi abbia il proprio cammino. Nel trekking, come nella vita, iniziamo il nostro percorso seguendo una guida o persone fidate, per poi scoprire che la strada non è sempre agevole e che ogni giorno si incontrano difficoltà. Scegliamo un sentiero, ipotizziamo un tragitto e cerchiamo di seguirlo senza perderci e senza cadere; a volte, però, cambiamo rotta, per scelta o per necessità, aggirando gli ostacoli e inseguendo il richiamo dell'avventura. Ci prefiggiamo una meta, una vetta da raggiungere, ma talvolta siamo talmente concentrati sull'obiettivo finale che proseguiamo a testa bassa appesantiti dalla stanchezza e ci dimentichiamo di alzare lo sguardo per ammirare tutto ciò che ci circonda. Fino a quando, finalmente, non solleviamo il viso, apriamo gli occhi e ci rendiamo conto che forse ciò che conta davvero è il viaggio in sé, non la meta. Perché, in fondo, nel trekking come nella vita, non esiste una strada che porta alla felicità. La felicità è la strada.


[Tutte le foto dopo la versione inglese]



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[English version]


INTRODUCTION

The most important Hindu festival in Nepal is Dashain. It is celebrated in the lunar month of Ashwin (during the first half of October), lasts fifteen days and celebrates the victory of Goddess Durga over the forces of evil. The schools are closed, Kathmandu empties and a lot of people return to their villages, where they organise big parties and sacrifices to the gods, dancing and singing.

I decided to take advantage of this holiday season to seek some adventure and discover some of the most fascinating areas of Nepal.
Over eighty million years ago, in the Late Cretaceous, India was not in the current position, but was connected to what is today south-eastern Africa. The Indian continental plate then began a slow moving, covering more than 6,000 km and reaching Asia. The impact between the two tectonic plates gave rise to the Himalayas, the highest mountain range in the world. Today, more than a hundred peaks are over 7,000 m above sea level, while seventeen exceed 8,000 m and nine of these are located in Nepal.


DAY 1
Thursday, 18/10/2012

My adventure begins at dawn. Around 6 pm I have an appointment with Ram, the guy who will be my guide.
A driver is waiting to take us to the starting point; during the night I slept about three hours, so I get in the car and I fall asleep.

Once in Sundarijal (1,460 m), just north of Kathmandu, we tie our boots and set off down the path.
We cross the Shivapuri Watershed & Wildlife Reserve, one of the main water reservoirs of the city and reach Mul Kharka at 1,859 m. It's 10.30am and to my surprise I find that it is already time for lunch. I allow myself a plate of fried rice with eggs, followed by a cup of black tea. After less than two hours my shoulders are already aching because of the backpack.

We continue the climb and in the meantime try to get acquainted with my guide.
Ram is 22 years old, has been married for two years and has a son of a month, Prajal. He belongs to the Rai caste, while his wife is from a different caste, therefore they are in a mixed marriage.
His English is not the best, but somehow we manage to understand each other. He has a brother and a sister living in Nepal and tells me that another sister was dragged to India when she was little, only to be found by a police officer years later; now they are married and live there. I find out, then, that another brother was killed nine years ago during the civil war between the Maoists and the Royalists. Tales of ordinary madness.

While chatting we go past beautiful landscapes. Around us there is so much green and I am flooded with thousands of fragrances. The hillsides are dedicated to the terraced fields and I am immediately struck by the humanity along the path, full of young children in every village. Fortunately, there are few Westerners around and I am convinced that it has been a good choice to opt for a less beaten path compared to the traditional trails of the Everest Base Camp and Annapurna Circuit.

Along the way we meet dozens of porters. Many of them are dressed in light clothes and sandals, and they carry bags resting on the back and supported by a rope passed over their forehead. Their loads are incredibly bulky and heavy. Sometimes they travel in small groups to carry supplies and materials from one village to another, at other times, however, they take part in expeditions of tourists and trekkers, carrying the backpacks of those who cannot bring their own stuff alone. While it is true that this is their job and they hand it down through generations, on the other side it's impressive to look at them going up and down these tracks, often with clothing inadequate for these altitudes, temperatures and ground.

We continue our walk climbing billions of steps, it seems to me to have bricks in my backpack, until we come to the step of Bolang Bhanjang (2,420 m); here we begin the descent to Chisopani (literally "cold water"), where we will spend the night at an altitude of 2,215 m.
When we reach the village four hours and twenty minutes have elapsed since the beginning of the walk. More than a real village, however, I see only four lodges on the hills. My room is incredibly comfortable (and damn expensive) and I even have a private bathroom with toilet, shower and hot water.
It is a strange feeling, for the first time after more than three months I'm alone and I'm note used to it anymore. The mind wanders freely and many thoughts runs in my head.

It's nippy. I eat my dinner and I go to my bedroom, reading a book curled up in my sleeping bag. I start "The Alchemist" by Paulo Coelho, a gift from a friend, passionate like me of walks in the mountains. I turn the second page of the preface and I run into the following words: "In 1981 I met RAM and his teacher, who would have brought me on the path traced out for me." Ram, my guide! "On the path traced out for me"... Maybe it's just a coincidence, but I feel to be on the right track, it is a great sensation. As Coelho would say, "When you want something, all the universe conspires in helping you to achieve it."

I'm tired and my eyes are closing. I set the alarm for the next morning, turn off the light and go to sleep. Is 9:39pm, I think that didn't happen since primary school.


DAY 2
Friday, 19/10/2012

I have breakfast with eggs, chocolate pancake and hot tea, and at 8.20am we start walking completely enveloped by fog.
Little by little, the sky clears and we continue on a good path. Everywhere around us we see terraced fields and in most cases they're cultivations of millet. The loud noise of the crickets accompanies our steps and we pass some small landslides.
We start a relay with two guys living in the UK (he's English, she's German): on the way we pass each other a few times, exchanging a few words and a smile, but without dwelling too long to speak.

We reach a small lodge and Ram beckons me to stop for lunch; sitting at the table, I see another Westerner, a Dutch guy wearing a T-shirt of Stanford. I'm quite hungry and I get a thukpa with eggs and spaghetti.

The pause is short and soon we resume the journey. We cross several villages at various altitudes and I recall Dolcedo and the walkings of two summers ago around the hills of Imperia. Entering the villages makes memories resurface and in some ways they evoke similar feelings, albeit with the proper proportions: often, we find a single road with the houses facing on both sides and we see the locals busy with chores and animals.

I'm struck by the amount of children we meet in every village. Often we find them intent to control each other's head with their parents in search of lice and various critters, in what appears to be a real activity of family cohesion.

According to our schedule we should sleep in Golphu Bhanjyang, but when we get to Thodong Lama Lodge I immediately fall in love with the place and decide to stop. We go through the entrance and a Swiss, Roman, welcomes us speaking Nepali. The place turns out to be waaaay cheaper than the previous night (200 rupees = 2 euro for a room), although much more basic. The whole complex is decorated in Tibetan style and it also hosts the only monastery in the valley.

At the beginning of the day the most difficult part is to put on the backpack and at the end of the daily walk I always seem to download a boulder. However, I'm not complaining and once again I recall some words of Coelho: "Throughout the day he would bring along a jacket. Yet, whenever he thought of complaining about that weight he remembered how it prevented him from feeling cold in the morning. "

I allow myself a few minutes of rest in the sun, then order some hot water and have a hot shower with bucketfuls.

I decid with Ram to take a walk up to Golphu Bhanjyang, fifteen minutes away. This is a typical Tamang village (no, Turin folks, Tamang, not tamango ...). Very rural, rustic houses and a beautiful school sunlit on a small hill.
On the way back we meet a woman carrying a heavy load of milk. I offer several times to help her, asking Ram to help me in the translation, but she is too shy or proud and absolutely does not accept to get help.

Waiting for my dinner of egg fried rice and Tibetan bread, I talk with Roman, who tells me his history. Several years before he came here trekking and fell in love with the daughter of the manager. After returning to his homeland he's been able to stay in contact with the girl, and finally made the decision to jump and move to Nepal. They have been married for three years living with her parents, they have a daughter and he helps her Nepalese in-laws with some innovation (in the lodge there's even internet access and in many small details you can see the hand of an European). He explains to me that it is not always easy (I believe it!), that money is short, but he is happy with his current life.
I'm glad I stopped here. Roman is a beautiful person (both the look and his manners remind me of Aldo, my former Cuban roommate), the place is very cozy, the view is nice and the food delicious.

Ram and I share the same room. As he goes to bed at 7.15pm, I remain to write in the common room, illuminating the sheet with my head torch. I return to the room at 9.08pm. I close my eyes and fall asleep.


DAY 3
Saturday, 20/10/2012

I take advantage of the Swiss-Nepalese management to have a powerful breakfast with a Nutella pancake, omelettes and some ginger tea.
Ram would like to leave quickly, but I choose to spend a few minutes taking some pictures. The sun rises on the horizon and creates a breach in the mist. I deeply enjoy the light and the heat, I do some little exercise and I'm ready to start the day.

We put on our backpacks and move, but after a few minutes we decide to go back and take a group photo with the whole family.

It's 8:50am when we move again singing, full of energy and enthusiasm. We go past Golphu Bhanjyang and start the climb.

While entering a forest of pines and rhododendrons we are overwhelmed by delicious aromas. We pass a couple of Germans who had slept in our lodge and we reach Kutumsang, at the entrance of the Langtang National Park. While Ram is dealing with the paperwork for permits, I dwell reading an information board. Like every sign in these valleys, it is handmade with colours and brushes and in a corner you can see the author's signature. Among the many information provided, one in particular catches my attention: the chance to see the rare red panda in the park and the magnificent snow leopard. I hope to run into these beautiful animals in the coming days.

We turn around a small Buddhist stupa, strictly clockwise to ensure good fortune, and continue the walk moving past other two Germans.

We stop for lunch at Sanugopte (2,975 m), where I devour a great dal bhat. I notice a sign that reads in English "real oven wood fired pizza", but I do not dare to order it. I take a picture with the cook responsible for my succulent lunch in memory of the first woman that actually got me to eat spinach in twenty-seven years. I refill my canteen, put a tablet to purify the water and we start again to walk.

In front of us there's an esplanade set in an enchanting view and for a moment I feel like in the Fellowship of the Ring.

We reach Mangengoth, we're finally above 3,000 m (!) and to celebrate Ram and I share cookies and chocolate.

Shortly after the restart, we move past a group of French and meet the British guy and the German girl. This time we avoid the relay and we decide to walk together. We chat for a long time and I discover that Paul, an engineer, and Daniela, landscape designer, have just finished a wonderful trekking in Ladakh and have been traveling for a few months.

At the end of our long "pilgrimage", we arrive in Tharepati (3,690 m), seven hours after we set off this morning! I leave the backpack in the room and I take a (expensive) hot shower (with the bucket, of course).
We are above the clouds and we beautiful snow-capped peaks are visible in the distance, so I decide to take some pictures, but within minutes I start to freeze and go back to the warm shelter.

The lodge is a classic mountain guesthouse. The bedrooms are very small and there is only one common room heated by a stove where all the trekkers sit looking for a little warmth. A group of French play "UNO", I chat with Daniel and Paul and I meet an Italian, Andrea from Trento. Like me, he's in solitary trekking with a guide, but he's walking in the opposite direction, from north to south. He tells me that in Gosaikunda, one of my next steps, has suffered from the cold and there were times when there was no oxygen. On the other hand, though, he describes beautiful landscapes, and that gives me a lot of enthusiasm. I find out that he's divorced with two children and works in a bank, but for health problems he has a permit of three months. This is his third time in Nepal and he tells me that the country is very different now. I'm glad to have met him, he seems to be a nice person.

The lodge is busy so I share the room once again with Ram. The place is nice at the end, but extremely basic. I pick up the clothes I had laid out to dry near the stove and I curl up in my sleeping bag. The time is 8.40pm.


DAY 4
Sunday, 21/10/2012

The night was quite agitated because of the cold. I slept fully wrapped in the sleeping bag, but I woke up quite often, also because of the smoke of the stove from the next room
I wake up super cold, my feet are frozen. I prepare my backpack and go to breakfast, trying to warm up and fill my stomach with a pancake, an omelet and a hot ginger tea. I chat with Andrea; his trek is almost at an end and during the next two or three days he will always go down, so he gives me a bag of supplements and a jar of Nescafe, which he uses to strengthen the local brew that the locals call coffee. I accept the supplements and kindly reject the coffee, explaining that I've given up on caffeine for  three months now. I also greet Paul and Daniela because we're going to take different routes: they will continue to the north, while Ram and I will take a temporary deviation to the east, before returning to the main path.

Before the departure, we make our way up a hill to admire the show of the mountains: the Dorje Lakpa and Cho Oyu are silhouetted against the blue sky, overlooking the valley and offering an amazing view. Dreamy scenario.

Kissed by the sun, I regain warmth and sensitivity in the fingers, numb until this moment. It's 8.30am when we resume our march.
The trail is all downhill and unravels in a heavenly forest of conifers. I'm fine, happy, and full of enthusiasm. Until the moment I realise one important detail: in two days I will have to climb all these steps uphill: panic! It is the first time during this trek that I follow a path that in few days I'll cover again and the idea is not very appealing.

I start to sing to exorcise harmful thoughts. I almost experience a regression to childhood and I find myself singing songs of my youth and of the '60s. I remember when we listened to this music with my family in the car on Sundays going to Selvaggio, a small village in Piedmont, where my maternal grandparents spent the summer. In those valleys I had my first experiences in the woods and now, in the midst of this beautiful nature, I find myself retracing in my mind those moments.

As we descend, the conifers give way to rhododendrons and I enjoy the panorama of the valley.
We cross a suspension bridge progressing briskly. Physically I'm fine, but ankles and knees are put to the test.

In two hours we reach Malemchigaon (2,530 m) and in the meantime I cannot avoid to think that the walk uphill, in a couple of days, will last at least twice. Malemchigaon is a beautiful village with houses scattered on the hillside. We stop for lunch and savor a noodles soup.

When also the French arrive there we decide that it is time to leave. They take place in the rooms of the lodge where they will spend the night, while we resume the descent, reaching a total of 1,920 m, where we go past another suspension bridge over the river Khola.

Here ends the free ride and begins a tough climb; even Ram seems to suffer (hallelujah, he's human!). I feel quite exhausted and I start to sing Full Metal Jacket's Mickey Mouse march. We pass a monastery and a few stupas different but I don't have the strength to take pictures (I'll take them on the way back, downhill). And right now I just think that I didn't take any photo with Andrea, Paul and Daniela, holy cow.

It's 2:00pm and we finally see the Tibetan prayer flags fluttering in the air: we are in Tarke Ghyang (2,590 m), the largest town in Helambu. The village is very quiet and seems deserted at the time because they are all in the Buddhist monastery.

I collapse on the lawn and I enjoy the sun, before having a hot shower. I rinse the clothes, chat with two French and look forward to the supper time. The walk of yesterday finished much later and once at the top we found cold and fog waiting for us, so the only option was to sit in the common room with the stove. Now, however, I enjoy these moments of relaxation in the sun, writing, reading, listening to music and drinking a tasty black tea. The effort of few hours ago is a distant memory.

When the sun hides behind the horizon, the temperature begins to decrease: I order dinner and I go back to my bedroom, reading in my sleeping bag.
At 6pm my dal bhat is ready. I crouch on the floor, on a mat near the fire where all the dishes are prepared. The atmosphere is intimate and cozy. I order Snicker momo: momo are the typical Nepalese and Tibetan steamed dumplings, and are generally filled with buffalo meat, chicken, vegetables, cheese or potatoes. Yet I have noticed on other occasions during the trek that many places offer a sweet variety stuffed with Snickers. I taste these sweet ravioli with curiosity and discover that resemble crepes! I offer a bite to the French, I take my notebook and study Nepali together with Ram. Very enjoyable evening.


DAY 5
Monday, 22/10/2012

Wake up at 5:30am, breakfast at 6 by the fire. I exchange a few words with the young guy who runs the lodge.

It's cool outside. I wear long pants and a sweatshirt, and for the first time the backpack is light (give me an "Amen!"). In fact, I left many of the things that I had in the room: today we will reach a peak and return to the starting point. We move past the village and begin the climb to the Yangri Peak. We are on the west side, completely in the shade. My hands are frozen, but I'm full of energy and climb at a good pace. As soon as I start to sweat, I feel cold to the bones. Along the trail there is a small corner illuminated by the sun and we decide to take a break to warm up.

When we restart the walk, we see two children going up the path. The smallest has no more than 4 years, the oldest 6 or 7, and carries a heavy water tank attached to the head with a rope, in the classic style of Nepalese porters. We hastened our steps to reach them, I touch the older child on his shoulder, I smile and make a sign to give me the tank. We walk together a few hundred meters and we come to a clearing, where there is a hut that turns out to be their home. The mother comes out and exchanges a few words with Ram. There are a couple of cows grazing around and the woman explains that she raises more than twenty of them.

We take advantage of the sun's heat and I take a picture with the kids. We see the top of the Yangri Peak lit by the sun, is a good omen. Seen from here, the shape reminds me of Musinè. We start again our march into the woods. It's a great walk, the best of these days.

After about half an hour we find another spot of sun and we stop again to warm up, biting chocolate.
When we move again, the forest thins leaving room for the bushes. The sun is now behind us and pushes us up. The trail becomes steep and the breath short. After about two and a half hours of climbing we reache the top, at 3,771 m, welcomed by the sight of a beautiful chorten.
The view of the mountains is superb, we are above the clouds and we dominate the whole valley.

It is the perfect time for some relax, some photos and the packed lunch of eggs and Tibetan bread.

Six Nepalese reach the top; they're quite rowdy and celebrate some Buddhist rituals. They later quickly eat their lunch and then go down the path.

I sit in the sun listening to music and contemplating the supreme refinement of the nature that surrounds me.

IIt's time to go back. On the path we meet a boy and a girl walking to the top; they're both Nepalese and they're staying in our lodge. Shortly after we reach the hut where we meet two other girls belonging to the same group. I see the two children I had met before and I offer them the last squares of chocolate that I have left.

While we continue the descent, the mind is free and happy. I think about the next few days of walking, and ideas for future projects.
In a short time we are in the valley. I wash some clothes, take a shower and enjoy some biscuits with a tea. I'm sitting at the table with Sarita, an Indian girl who has been in Nepal for two months, and soon we're joined by Kabita. These are the two girls I met at the hut of the children. I discover that Kabita was born in Italy to Nepalese parents, he studied abroad and returned one year ago to Nepal, in order to rediscover her country. Meanwhile, we're joined by the guy and the girl that we saw climbing, Roman and Astha, both Nepalese returned recently to Nepal after having lived and studied abroad; even Astha was born and lived in Italy, speaks Italian and she has been in Nepal for a month . They're here for a short holiday and tomorrow will go back to Kathmandu. We get lost in interesting conversations about culture, religion and work until the sun sets over the valley.

At the monastery, today, there is a special celebration. In the city this is the day dedicated to the slaughter of thousands of animals as a sacrifice to the gods. To compensate, the monks today cannot speak or eat, but only recite the mantras. We hear the sound of drums and bells in the distance and we decide to make a short visit. We take off our shoes, enter the gompa, sit in a corner and follow the Buddhist ritual. The monks sit in two rows and recite the prayers, accompanied by the sound of cymbals and drums. On the walls we see several religious representations and of course there are various statues of the Buddha. Despite our presence, the monks continue the ritual undisturbed and only occasionally they throw a glance toward us, intrigued by our presence at least as we are by them. I choose to leave aside, at least for this time, all my doubts regarding rituals and religions, and I let myself be lulled by the rhythm of the enchanting mantras. Without any doubt an experience that doesn't happen every day ...

We return to the lodge and it's dinner time. The group of French just arrived and, as usual, they're playing cards. It's an exceptional moment. We all sit in the same room: trekkers, guides, porters and the family that runs the shelter. We are all hungry and on the face of each one of us I can notice the signs of fatigue illuminated by the satisfaction for the day just passed. There are more people than last night and I read my book sitting on a bench with my legs crossed.
A little further there is a great movement for the preparation of food. I see the girl of the family knead my momo, while the older sister envelops the filling into the dough, the mother pours boiling water into thermal containers and the oldest child is in the kitchen. The Nepalese are all barefoot, always, at any time, at any temperature.

The group of guides and porters is sitting around the fire. One of them cuts onions to flavor the dry noodles and wipes his hands on the suit. I notice on his pants the symbol of Kappa, the textile brand of the city where I was born and raised. I'm sitting a few feet from him and I think about the shop of Turin, the arrangement of the shelves, a dear family friend who works there. Once again, the world seems to me tremendously smaller than it looks normally.

I sneeze, I have a cold. Is 7:52pm, I finish the tea and go to sleep, for the first time before Ram.


DAY 6
Tuesday, 23/10/2012

Wake up at 6:30, breakfast with Snicker momo, group picture and off we go.
The first part is all downhill; we move past some homes, crossing soybean fields, crops of potatoes and tomatoes and small plantations of corn dried in the sun. I am overwhelmed by the smell of honey, but I cannot understand where it comes from.

In an hour we are in the valley, after a series of waterways and one of the two bridges. Here begins the first section uphill. We choose to avoid the path in the woods and take, instead, a trail that goes up following hillside: longer, but less steep. We are exposed to the sun, but the air is fresh and we take a good pace. We are alone all along the way. We go past several landslides, remains of the recent monsoon season. In some cases the land has slipped down with stones, sometimes even the trees fell down and in some places we find on rocks as big as trucks.
After the nth hairpin turn I smell the scent of lavender and I sight flags that indicate the village: we are again in Malemchigaon. We have lunch in the same place and I devour two noodle soups and a potato dish.
After the break, it's time to resume the climb. The hillside trail is over and so we are forced to proceed in the forest, following the path that we took coming down a few days before. The steps begin to become an obsession, and I promise to myself not to think of the word "step" for the rest of the day.

We meet an American with his guide, we give them some informations on the timing to get to Malemchigaon and after finding out where we are from and where we are going the guide looks at me and says "Long way, huh?", with the expression of someone who thinks "You are' all foolish!".  We say goodbye and continue the walk.

The legs are heavy, the shoulders beg for mercy, the breath is short, but the mind is free. The magnificence of the forest that surrounds me warms my heart giving me the energy to continue. We allow ourselves two or three breaks along the way to catch to acclimate more slowly to the increasing altitude and to bite some square of chocolate.

At one point, the forest thins out, we reach a plateau and only a few meters away, on the left, we suddenly see two mighty yak! They graze peacefully and they walk along a secondary path. I decide to follow them, keeping a discreet distance and making as little noise as possible, hoping not to frighten them, staying as far as possible from their huge horns. We reach another clearing and I stop to observe them a few minutes before resuming the path I had abandoned.

3 hours after the beginning of the climb, the lodges of Tharepati appear as a vision at the top of the hill. We get a hot tea and a handful of biscuits, while Ram socialize with a guide from his own village.

The third and final stop of the day is Ghopte. The trail branches off downhill and soon we venture into an area full of plants and moss-covered rocks and fell down perhaps a few hundred, if not a few thousand, years ago. The ground is uneven and dangerous to the ankles, but at the same time less tiring and much more fun. The landscape reminds me of the mountains of Iceland and I recall memories of my trips with Gulli (my trusty guide in the land of the Vikings) and the other guys met during one of the most beautiful periods of my life. My mind goes back to our last climb in Hveragerði, amidst snow and ice at -15 ° C, before diving in the warm waters of the river. I wonder if at the end of this day I will find a natural hot pot waiting for me, but I get the impression that this will not happen.

As we continue to walk I do the math and realise that although Ghopte is a few hundred meters lower than Tharepati, we're going down too much and soon we'll meet a new climb. I don't have time to end the thought that the path changes slope again and start to sneak up the mountain.

We meet a giant boulder, as big as a building, which seems supported by a thin invisible thread. All I can think about as we pass underneath and Ram touch it with one hand is "Please do not fall now."

We pass a small hut, and after another half hour of climbing we finally reach Ghopte. It has been eight hours and fifteen minutes since our departure this morning, and as Forrest Gump would say: "I'm pretty tired".

We settle in the room and order a hot tea.
The landscape is shrouded in clouds only occasionally letting in the rays of the sun.
At the table outside there is a group of three Germans girls and a boy and I notice that he also speaks Nepali.

I enter the lodge to warm up in the dining room with the stove and I observe the people around me. To my left, there are two couples of French chatting, reading and listening to music. In front of me is a French family and of course they play "UNO" (but how many French are there?! And why they always play "UNO"?!) with two children who will not have more than 10-11 years. They are the first western kids I meet since I started the trek and I am surprised to see them up here. To my right sits a couple in their fifties, I do not understand where they come from, but they speak English to each other. A long hippie season left signs on their eyes, their skin, their clothes and the way they move. They wear bright and colourful T-shirts with the "OM" symbol, they have homemade tattoos on their hands and they exchange affectionate kisses like two teenagers. She is lying with her head on his lap, he caresses her and reads a book aloud: while he's reading I can feel in his voice the charisma of a door creaking and I am reminded of Alex, the character of one of the worst and insignificant (and ironically amusing) movies in the history of cinema, "The House That Drips Blood on Alex." He's driving me crazy, I risk a collapse brain.

My dal bhat is ready and I eat it with pleasure. After dinner I read and write, sipping black tea.
I ran out of napkins and my cold does not seem to recede.

8:25pm, I turn off the light. It was a great day.


DAY 7
Wednesday, 24/10/2012

Wake up at 6:20am, breakfast with omelets, chocolate pancakes and two cups of ginger tea.

Today it is serious.
The first part of the trail is nice, there are plenty of ups and downs. We go past some waterfalls and pass the four Germans and the two freaks.
I know that during the day we will reach a remarkable altitude, so I decide to take a break for five minutes about every half an hour, to give my heart, lungs, brain and muscles the opportunity to oxygenate, slowly getting used to the altitude. In the meantime, I try to enrich my Nepali learning new phrases with the help of Ram, but we have some trouble in understanding each other.

After about two hours we arrive in Phedi, at an altitude of 3,731 m, where we have lunch and where, little by little, we are reached by the others that we had passed. Here we see the remains of a Thai Airlines plane crashed on the mountainside in 1992. The accident killed all 113 people on board and a small chorten remembers that tragedy.

The wind blows, the cold air penetrates beyond the skin. I notice some fake flowers in a vessel filled with water and I cannot help but ask myself a couple of great existential questions, while I devour my soup and my potatoes.

We continue our journey and after half an hour much of the vegetation disappears. The only ones who resist are mosses, lichens, a little yellow grass, some shrubs and some tenacious flower.
We touch 4,000 m and the sky gives us a brief but lovely snowfall. More than snowflakes they resemble tiny grains of hail falling from the sky and gently bouncing on the ground. The landscape slowly turn white.

We continue on our path, very nice and enjoyable. The trail winds through rocks and scree, the slope is not too great and the view is fabulous. We reach the four Germans who had left the lodge before us, and we exchange a few words. I find out that the boy and one of the girls are engaged and have been living in Nepal for three and a half years, while the other two friends are on vacation.
A few minutes before we crossed three Israelis who were coming back for fear of running into too much snow, but we meet some sherpas who reassure us about the feasibility of the pass.

We continue to walk and do some short break for the acclimation, until after two and a half hours of climbing we finally reach the Laurebina Pass at 4,610 m. It is the highest point for its today, from here on the road is slightly downhill. We keep on marching and we spot Gosaikunda, our daily destination, where we can see some shelters that overlook the shores of some beautiful lakes. These lakes are considered sacred and have an important role in the Hindu tradition. According to mythology, Lord Shiva drank in an extreme act of sacrifice the dangerous poison Halahala, but the goddess Parvati came to his rescue putting pressure on the neck to prevent the poison to reach his stomach, where according to the legend was contained the entire universe. This is the reason why Shiva is often depicted with the neck or the entire body of blue colour. When, however, the pain caused by the poison became unbearable, Shiva drove his trident into the ground in search of fresh water, forming the lakes of Gosaikunda.

As in the rest of the trek, we did not book the accommodation in advance, but this time we are left with a bitter surprise: all the lodges are full, we knock on every door but there is no room available. I sit in the inside one of the shelters, waiting to see the development of the situation and after a some time the owner of a lodge informs us that two trekkers have just canceled their booking: yeah! At least for this night fe don't hibernate. Or at least that is what I think until the lady shows us the bedroom. The room is freezing. I notice that it started again to snow harder and I realise it because it's snowing inside, even though the windows are closed. Something makes me think that this room would fail to pass an inspection of the Consumers Association...

I change my clothes, wearing almost everything I have in my backpack and I hole up in the room with the fireplace, drinking hot tea and looking for a little heat. All shelters in which I've been used wood for the stove, I never saw anyone using kerosene. Deforestation is one of the problems affecting these regions. Locals use wood to build and heat and the increase of mountain tourism has inevitably led to an increase of cutted trees. Each shelter, however, is equipped with small solar panels that are used to illuminate the main room and to allow the trekker to recharge phones and batteries (paying for the service, of course).

The lodge is full of people, an inevitable group of French (wtf!), some Germans, a couple of Danish and an English speaking family consisting of two sisters, the daughters of one of them (7 and 9 years) and the grandfather. The girls are playing cards with the guides and porters in Nepal and once again I'm struck by the sight of two Western girls at this altitude. In the shelter there are also several Nepalese children, but somehow I'm more accustomed to meet them on my path. 

The sun's rays filter through the windows and I realise that outside there is a dramatic sunset, but I'm too cold to go out now and in any case I will stay here three nights.

The walk of today has been beautiful, and overall I can say I had a wonderful day. My biggest concern was the altitude sickness, which at certain altitudes can give serious disorders and even be fatal. I'm glad to be okay, without any symptom yet. The mountain air is cold and dry and one runs the risk of dehydration easily, so every day I drink at least two liters of water plus various soups and many cups of tea. An old saying goes "walk high, sleep low" and that's exactly what I'm doing today, because after the Laurebina Pass we went down to Gosaikunda at an altitude of 4,380 m. I will stay here one day to acclimate and relax before the next challenge, the hardest one...

I eat with pleasure my dinner, chat few minutes with Thomas, one of the two Danes, until I hear the sweet call of Orpheus.


DAY 8
Thursday, 25/10/2012

I wake up at 8 (very late by the standards of the last week), I have breakfast and I decide to spend the day in the most relaxing way.

I wear all the clothes I have in the backpack, including tights, two sweaters, jacket, gloves and hat, and I venture on the banks of one of the two lakes. I find a comfortable rock, I sit down and remain motionless for the next three hours to contemplate the nature, enjoying the warm heat of the sun. The mind wanders freely and I try to calculate what time it is in Italy. My family and friends are still sleeping and will wake up soon: I try to imagine their day, thinking of their lives and mine before leaving ...

The cold slowly penetrates into the bones and my stomach calls for food, therefore I go back to the lodge for lunch. Once appeased the pangs of hunger, I follow Ram to the view point to send some sms and to get a good vantage point over the valley. in the distance I see the Surya Peak, my goal of tomorrow, while some snow-capped peaks tower further north, among which I recognise Langtang Lirung.

We return to the lodge and we warm up with hot tea, then I decide to go out again. i reach a huge rock overlooking the second lake and I sit cross-legged to admire the stunning panorama in front of my eyes. I brought books and notebooks, but the only thing I can do is listening to some music completely enthralled by the heavenly perfection of nature. The sweet notes of Spiegel im Spiegel vibrate in every inch of my body sealing with soft strokes the perfection of the scenario that surrounds me. "At that moment, it seemed to him that time stood still, and the Soul of the World surged within him. […] It was the pure Language of the World. It required no explanation, just as the universe needs none as it travels through endless time."

I'm good, I'm incredibly happy and at peace with the universe.
As in the morning, my thoughts often fluctuates back home, to my family and friends. I wish all of them were here to share this moment and these feelings with me.

The sky turns red and I enjoy the sunset, watching the sun disappear over the horizon, returning then to the lodge before the dark evening encompasses the last rays of light.

After dinner I sit in the room with the stove and start chatting with a very nice French lady of 62 years, Simone. She tells me that this is her second time in Nepal (the first was in 1988!) and that the country is incredibly changed. She also explains that this trek is for her a sort of exception, as in the last twenty years she has been trekking every autumn in Ladakh, a region that she madly love.
It's late and we say goodnight, as we approach the respective rooms. Tomorrow will be an important day.


DAY 9
Friday, 26/10/2012

Wake up at 6.30. I make a hearty breakfast and prepare the backpack, emptying it of all the unnecessary things.
I'm cold. For the second consecutive night I slept in the sleeping bag, covering me with a blanket, wearing almost all the clothes and plugging some draughts of the wall with the towel.

I've been waiting for this day for a long time. Our goal today is the summit of Surya Peak.
We set off again toward the Laurebina Pass, the one that we have crossed a couple of days before. On the path the water is frozen, an indication that the temperature has fallen way below zero during the night. Once at the top of the pass we take a secondary path and head to the mountains to our left. The path soon disappears beneath our feet, and we find ourselves walking on grass, moss and rocks. We are looking for the best point from which to attack the summit and decide to try on the west side. The climb reveals to be challenging, the stones slip under our feet and we struggle to find solid support points. The breath is short, but in any case we have to proceed very slowly. We go past a first slope, cross a downhill section and in front of us there is a new climb, steeper, with rocks and stones.
The percentage of oxygen in the air at this altitude does not exceed 52-53%. We proceed with difficulty, every step presents some troubles, we risk to slip and I have not the faintest idea of ​​how we're going to go down. For a moment I consider the idea of ​​giving up, but then I pause a few seconds, breath, relax and continue to climb, while in front of us I spot the Langtang Lirung and the peaks of Ganesh Himal. Huge stone slabs and boulders are the only ground beneath our feet. I slide several times and I have to hold on with my hands. More than a walk, it looks like a climb.
Finally, after about three hours of climbing, fatigue and slips, we finally reach the summit of Surya Peak, at an altitude of 5,145 m! It is the highest point of my trek and the highest I've ever reached. It is an indescribable feeling! I'm tired, but incredibly happy and at peace with the world. Albeit with some difficulty and fatigue, I've achieved an important goal, winning one of the challenges that I he'd set for these twelve days.

The view spans 360 degrees. On the south side the clouds cover almost the entire valley below, while on the north I can admire several majestic Himalayan peaks: the Langtang Lirung (7,227 m), the snowy peaks of Tibet, the chain of Ganesh Himal, with four peaks over seven thousand and fourteen over six thousand, up to Manaslu (8,163 m) and Annapurna I (8,091 m), slightly covered by clouds.

I add a row of Tibetan flags to those already present at the summit, to witness and remember the climb.
I eat something before taking a few pictures, and then I sit down and remain in contemplation listening to the silence and trying to capture in my mind and heart these moments of magic and enchantment.

We start the descent, trying to pass on the opposite side, which turns out to be slightly less steep. The large boulders give way to small stones and slabs of rock, so we are literally surfing the mountain. In an hour and fifteen minutes we are back on the path that brings us to the lakes and to the lodge.

As we go down I realise that my trekking is almost finished, the remaining stages will be an easy walk and I'll be able to relax and enjoy them to the fullest. I take out of my pocket a plastic bag and pick up the garbage that I find along the way. Pollution and waste problems are serious and extremely popular in the Himalayan mountains. Each trekker who embarks on these tracks knows that it is best to avoid plastic bottles, preferring tablets to purify water, and that people should keep their waste to take it back and dispose it in the appropriate spaces. If part of pollution is attributed to careless tourists in the management of their waste, a good slice of the problem depends, however, on the Nepalese people. In Nepal there isn't a widespread culture of recycling and proper disposal of garbage. In the city, people throw anything on the streets and from the bridges, and this practice does not change too much in the mountains.

When we arrive at the shelter, not satisfied by the daily effort, we decide to accelerate the schedule and immediately resume the path to descend and gain one day. Brief pause, then, and we walk again.

The road branches off to the hillside, with a slight uphill before a long downhill, offering a breathtaking view over the lakes. The path seems carved into the mountain. In a moment we find ourselves overlooking the valley, with a deep gorge of at least one kilometer. It's like being in a dream or in a science fiction movie. The clouds move gently blown by the wind, in a few moments the entire landscape changes and we find ourselves immersed in a white blanket, with a visibility of no more than ten meters.

The path is wedged inside the mountain and we reach a small chorten. Here begins a steep descent, the landscape is ghostly, with the rocky and dusty ground completely enveloped in fog. We maintain a brisk pace, both me and Ram are tired and eager to get to our destination: we utter a word every half an hour, but the legs move quickly. In a short time we reach a tiny viollage but continue straight without stopping. We go past Laurebina Yak and we step into a beautiful fairy forest that seems to be frozen in time. Finally we see again some vegetation and we are not merely surrounded by moss and shrubs. The climate is milder, the sun gives extra warmth.

After about two hours of walking we arrive in Shin Gompa, a tiny village at 3,330 m with a monastery and some lodges. Perhaps it's nothing special, but after several days of cold at high altitude, in small, icy and wet rooms, I almost don't believe to have a bedroom all to myself, and I can even have a hot shower in my own bathroom. I lie down on the bed and fly to heaven. The red light of the sunset floods the valley and enters the room through the curtains.

After a short nap, I enjoy a good dinner. The lodge is very nice, with an area dedicated to tables and chairs and another one with pillows and sofas around the fireplace. We are few people. Two American gentlemen are chatting at the tables, while on the couches there are five Nepalese boys and girls and two Westerners. I realise now how this guy, Paul, is speaking in a perfect Nepali. The girls improvise a traditional song and dance, the atmosphere is cheerful and relaxed and soon we get acquainted. The American girl, Brooke, founded three years ago an NGO and a school here in Nepal along with Sudan, one of the Nepalese guys that at the time of his first visit to Nepal had been her guide in a trek. Paul have studied for five years Nepali, he has been here for three years and now they all work together.
Tomorrow they will go to Gosaikunda, but in order to avoid the cold they're planning to come back down during the day, therefore we will meet again in the evening. I'm in love with this place and I'll stay here all day relaxing.

I lie down on the bed, I take a look at the pictures and I fall asleep like a baby.


DAY 10
Saturday, 27/10/2012

Wake up (incredibly) at nine. Breakfast with tea and soft cinnamon croissant. The sun is shining in the sky and I have a walk in the tiny village. Some kids go back and forth on horseback, but the animal does not seem too happy with their company.
I realize now that I am making a return to normality and that after days of walking, cold and discomfort I'll soon come back to my daily life, with all the amenities that this allows (even in a country like Nepal). Although, all things considered, I would stay here another week with some good books and sunscreen.

3:38pm, forget it, it's snowing. Or hailing. Or maybe both. Small balls of ice are falling from the sky. They bounce on the ground and dissolve into tiny puddles. I collect the clothes that I had washed and left outside to dry. Five minutes later it's all over, the sun is shining again in the sky.

I welcome the group of Nepalese and Americans just returned from Gosaikunda. They tell me that it has been snowing for two hours and they have suffered a lot from the cold. We have dinner together and deepen our knowledge. They all seem interesting people and we get well along together, so I change my plans for tomorrow and decide to join them. We'll leave at seven in the morning.

I end the day studying Nepali with Ram and teaching him a few words of Italian.


DAY 11
Sunday, 28/10/2012

Let's all have breakfast together and we warm up in the sun with some stretching exercises coordinated by Sudan. As I'll to find out during the day, the guys use an interesting method of shared leadership within the group, in which each one of them may propose initiatives and take responsibility for managing the various activities. We begin our walk along the path: I wear hoodie, scarf and gloves, but of course Ram is in T-shirt. I chat with Brooke as we continue through the woods. The wondrous view of the mountains accompany us during our descent and we stop to take some pictures.

I realize that Goma, one of the Nepalese girls, limps. I offer several times to bring her backpack, but she doesn't dare to give it to me until I catch it with a little trick. The girls are not at all equipped for a walk in the mountains and one of them decides to walk barefoot (!) after having removed the slippers she was wearing ...

We have a short break and I chat with Sudan, listening to his stories of when he was a guide in the mountains.
Back on the path, we cross a bridge on an impressive river that runs through the valley, whose waters come directly from Tibet, we move past a military checkpoint and we finally arrive in Syabru Besi, four hours after our departure.

We settle into a guest house and sit down to enjoy a beer, the lunch and a little well-deserved rest.
By mid-afternoon we go looking for a means of transport for the next day, but the Jeep is too expensive and the only available option is the roof of the local bus. It seems that tomorrow will be a long day ...

We go looking for a hot spring, a source of thermal water that should flow in the near surrounding. We bring with us the need to take a bath, but our hopes soon fade. A woman dries her hair, a man washes his body and some babies are soaking in a tub that is nothing but the washhouse of the village. The water is warm, but we're not even close to the idea of diving there.

The sun has set and coming back to the guesthouse we see a big bonfire near a small temple on the hill. We buy fruit, some snacks and I spend the next two hours getting lost in a great conversation with Paul.

It's dinner time and we all sink our fingers into the rice, potatoes, vegetables and lentils our dal bhat. After the meal I remain to talk with Brooke and Paul until sleepiness takes over.


DAY 12
Monday, 29/10/2012

Last day. Wake up at 6, a quick breakfast and we are ready to face the journey.
Ram has been able to get a pair of seats inside the bus, but we've decided to leave them to the girls, so we get out of the guesthouse and load the backpacks on the roof of the bus. However, we cannot sit on it yet since in a short distance there should be a checkpoint, therefore we set off on foot for a few hundred meters. I remain puzzled by the matter but I do not worry too much and follow the rest of the group. We stand in front of the hydroelectric tunnel until we see our bus coming: we climb on the roof, trying to find a more or less comfortable position and off we go. Jacket, gloves, scarf and hat are a major barrier against the cold.

Although we are already over 2,000 m, the bus continues to go up climbing on a narrow road full of hairpin bends, curves and overhanging cliffs. It is not a trip for those who suffer from vertigo. The view, however, is indescribable. From our "privileged" position we can gaze at the beautiful valleys crossed by the powerful water of a large river, observing tiny villages arose on the hillsides and the profiles of the majestic snow-capped mountains, frescoed by the first light of the sun.

We arrive in Dunche and one of the guys who works on the bus tells us to come down from the roof. In a few curves there will be a roadblock and they can't take the risk to pass in front of the soldiers carrying people sitting on the roof. We almost run through the whole village to emerge at the other end and take the bus after passing all the security checks. I am dazed, I do not know whether to laugh or cry. 99% of the bus that travels long distances in rural areas carries dozens of people on the roof. Everybody sees it, everyone knows it, including the soldiers and the police. We walk in front of the military checkpoint without luggage and showing the documents, and it is clear that we are not going to make it on foot to Kathmandu, but a few hundred yards away we'll jump on the roof of a bus. Yet this process of down and back will be repeated a dozen times during the day. Sometimes we will have to squeeze inside the bus, packed like sardines in a tin box: moving past another roadblock with a sign depicting some safety precautions and a large red cross on a picture of a bus transporting people on the roof, I wonder how much more secure is our current arrangement where I stand near the entrance on one foot because I haven't the physical space to lean the other.

After a short break to eat, the journey continues until I greet Paul & co., which are going to the village where their school is located. I continue my journey alone, the only pale face on a roof of only Nepalese people. The cold of the early morning is a distant memory, the sky is clear and the air begins to be warm. I create a bed leaning on the jacket and backpack, I lie anchoring myself to the railings of the bus and I enjoy the warmth of the sun.

We stop for another brief stop and I exchange a few words with a Canadian who travels sitting inside. I suggest him to come above where it is much more comfortable, but he doesn't feel to do so, he politely declines and goes back to his place.

While we drive past dozens of villages, I cannot help but wonder what it might mean to live in places like those. In some cases I notice simple tin shacks on the roadside next to which, inevitably, play or work kids of all ages. I wonder how it is to live here in the winter, what they eat, where they sleep, what they do to have fun, to learn, to grow. I see small children hovering over balconies of concrete or clay without railings, bus whizzing past them, their little hands rummaging in the dust on the edge of the asphalt. I think of my nieces, that could never be left alone under similar conditions, I remember my grandmother asking me to phone to reassure her when I came home by bike at age 14, and I wonder if we have too high standards of control and safety, if actually here everything is too exaggerated, or if, perhaps, the truth lies somewhere in between.

Perched at the bottom of the roof, I like to observe the expressions of the Nepalese looking at me from the bus in the queue behind us. They stare at me with amazement and amusement, as if they had just seen a flying dolphin. We are about to enter the city, and that means it's time to get down and clump together inside the bus as Americans in a McDonald's restaurant. The bus makes a stop and I see the man who was leaning his elbow on my chin until a few moments before, wearing a shirt that says "Torino" and has the symbol of the city. I would stop him and tell him about the city, the squares, the flowing river, the narrow streets and the many restaurants in the centre, but the bus rushes away and, inevitably, I return to the present.

After about 8 hours (e-i-g-h-t) of travel we arrive at the final stop. I get my backpack, call a taxi, embrace Ram thanking him sincerely for these twelve days, and I go back home, eager to see my Nepalese family and our friends came from India.


CONCLUSIONS

This trek allowed me to observe Nepal through different eyes, smelling unknown perfumes, meeting new people and soaking completely in the fantastic nature of the Himalayan mountains. I come home transformed, full of enthusiasm, overflowing with energy: it has been without any doubt one of the most beautiful, deep and satisfying experiences I've ever done in my life.

I am convinced that everyone has his own path. In trekking, as in life, we begin our journey by following a guide or people we trust, only to find out that the road isn't always easy and that every day we encounter difficulties. We choose a path, we plan a route and try to follow it without getting lost and without falling; sometimes, however, we change course, by choice or necessity, bypassing obstacles and chasing the lure of adventure. We set goals and peaks to reach, but sometimes we are so focused on our final summit that we carry on keeping the head down heavy with fatigue, and we forget to look up to admire all that surrounds us. Until, finally, we glance up, open our eyes and realise that maybe what really matters is the journey itself, not the destination. Because, after all, in trekking as in life, there is no road to happiness. Happiness is the road.


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2 commenti:

  1. spettacolare!! bel racconto e bellissime foto!! E le emozioni che descrivi sono TOTALI! Ma la prossima volta...un po' di Tamango potra' scaldarti per bene! ehehehe!

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    1. La prossima volta altro che pastiglie per purificare l'acqua. Una tanica di Mistero è dritti sulla cima dell'Everest. ;)

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