[English version below]
Nel corso dei mesi passati ho raccolto su questo blog episodi, avventure e immagini della mia vita in Nepal, ma è sempre mancato qualcosa, la parte più importante.
Più di ogni escursione, di ogni viaggio, di ogni tempio e di ogni montagna, l'esperienza più bella e arricchente dell'anno trascorso in questa magnifica terra è stata l'opportunità di interagire ogni giorno con decine di bimbi e ragazzi nepalesi.
Da quando sono arrivato ho insegnato inglese e scienze sociali in una scuola di Kathmandu e ho lavorato come educatore in un centro per studenti con disabilità mentali a Patan.
Insegnare a scuola è stata una grande sfida. I miei alunni mi hanno fatto ridere, arrabbiare, divertire, impazzire; ho trascorso notti insonni a preparare materiali per le lezioni, ho quasi perso l'udito travolto dal delirio che mi accoglieva in classi da oltre trenta studenti e ho quasi perso la voce tentando di farmi ascoltare; abbiamo giocato, disegnato, letto articoli, scritto racconti. Siamo partiti da molto lontano, la strada è stata accidentata, sterrata, piena di buche, in pieno stile nepalese, ma lungo il percorso abbiamo imparato a conoscerci e a volerci bene.
Ogni giorno sono entrato in classe con un'unica grande speranza: il desiderio di riuscire a trasmettere qualcosa a questi ragazzi, di lasciare un segno, anche piccolo, e di tornare a casa con la consapevolezza di essere stato capace di piantare qualche seme e di creare le condizioni adatte alla fioritura di un minuscolo germoglio.
Non è stato sempre facile intravedere qualche segnale, capire in che modo stessi intrecciando il mio cammino con le vite di questi giovani terremoti ambulanti. Non è stato facile, fino a ieri: il mio ultimo giorno di scuola, il giorno più difficile dell'anno.
Sapevo sin dall'inizio che questo momento sarebbe arrivato, ma non pensavo avrebbe potuto rivelarsi così bello, intenso ed emozionante. E i sorrisi, le lacrime, i regali, le letterine e gli abbracci di decine di bimbi con gli occhi vispi e le divise stropicciate mi raccontano che, forse, in fin dei conti, un segno l'ho lasciato davvero.
Eppure sono partito con la speranza di dare qualcosa e mi ritrovo a sorridere e commuovermi, scosso nel profondo, nel realizzare come inevitabilmente abbia ricevuto molto più di quanto sia stato in grado di offrire. Ho imparato più cose sulla vita, sulle persone, sul Nepal, sul mondo, sul dono della gentilezza, sull'accoglienza, sul dialogo, sul valore dell'amicizia, sulla felicità e sull'importanza di un sorriso da uno sciame inarrestabile di bambini nepalesi di quanto non avrei mai potuto apprendere in vent'anni di università. Ripenso ai tanti istanti trascorsi insieme a studenti, insegnanti e operatori scolastici, a tutte le cose che avrei potuto fare e non ho fatto, a tutte quelle che sono riuscito a realizzare e ai tanti piccoli e grandi momenti di condivisione. Mi allontano da scuola con il groppo in gola e le lacrime agli occhi mentre duecento ragazzi urlano e mi salutano dalle balconate, e non posso fare a meno di pensare che presto per me ci sarà qualcosa di nuovo, mentre loro proseguiranno da soli sul proprio sentiero un po' accidentato. Vorrei prenderli per mano e poterli accompagnare, uno per uno. Vorrei vederli crescere e sapere che avranno un futuro sereno e felice in questo mondo che non sempre riserva il meglio a chi se lo merita.
E mentre ripenso ai tanti momenti trascorsi insieme, rimango ancora una volta sorpreso e meravigliato dalla vita nel rendermi conto di come in ogni individuo si celi un patrimonio immenso di umanità che aspetta solo di essere scoperto e portato alla luce. E di come, talvolta, il più saggio dei maestri si nasconda in un bimbo con gli occhi vispi e la divisa stropicciata.
_____________
[English version]
During the past months I collected on this blog episodes, adventures and images of my life in Nepal, but something has always been missing, the most important part.
More than any hike, every trip, every temple and every mountain, the most beautiful and enriching experience of my year spent in this marvelous land has been the opportunity to interact everyday with dozens of Nepali children and youngsters.
Since my arrival I have taught English and social studies at a school in Kathmandu and worked as educator in a centre for students with mental disabilities in Patan.
Teaching at the school has been a great challenge. My students made me laugh, angry, they amused me and drove me crazy; I spent sleepless nights to prepare materials for lessons, I almost lost my hearing overwhelmed by the noise that greeted me in classes of over thirty people and I almost lost my voice trying to gain their attention; we've played, drawn, read articles, written stories. We started our journey long time ago, the road has been bumpy, unpaved, full of holes, in typical Nepalese style, but along the way we've learned to know and love each other.
Every day I walked into class with one unique great hope: the desire to be able to convey something to these children, to leave a mark, however small, and to return home with the knowledge that I have been able to plant seeds creating the right conditions for the flowering of some tiny bud.
It has not always been easy to glimpse some signal, to understand how my path was weaving with the lives of these young walking earthquakes. It has not been easy, until yesterday: my last day of school, the most difficult day of the year.
I knew from the beginning that this moment would come, but I never thought it could be so beautiful, intense and touching. And the smiles, tears, gifts, letters and hugs of dozens of children with lively eyes and crumpled uniforms tell me that, perhaps, in the end, I really left a mark.
Yet I left with the hope to give something and I find myself smiling and being moved, shaken to the core, comprehending how inevitably I have received much more than I've ben able to offer. I learned more about life, people, Nepal, the world, about the gift of kindness, acceptance, dialogue, about the value of friendship, happiness and the importance of a smile by a swarm of unstoppable Nepali children than I could have ever learned in twenty years of university. I think back to the many moments spent with students, teachers and school staff, to all the things that I could have done and I didn't do, to all those things that i managed to achieve, and to the many small and large moments of sharing. I walk away from school with a lump in my throat and tears in my eyes while two hundred students yell and greet me from the balconies, and I can not help but think that soon there will be something new for me again, while they'll continue on their own bumpy path. I would like to take them by the hand and walk by their side, one by one. I would like to see them grow up and know that they will have a serene and happy future in this world that doesn't always reserve the best to those who really deserve it.
As I recall the many hours spent together, I am once again surprised and amazed by life while I realise how every individual conceals a wealth of humanity that is just waiting to be discovered and brought to light. And how, sometimes, the wisest of the teachers hides himself in a child with bright eyes and a crumpled uniform.
Caro Andrea Sir, ti auguro mille di questi giorni più difficili dell'anno perchè è grazie a questo 365 esimo difficilissimo giorno che puoi capire quanto hai costruito e quanto sono stati importanti gli altri 364. Nel dolore e nella fatica si cresce, si impara, si diventa persone migliori.
RispondiElimina